2.2 Il metodo conoscitivo di Francesco Bacone

 

    Siccome riteniamo che Francis Bacon sia il pensatore più importante ai fini del rinnovamento della filosofia secentesca, ed anche colui che, insieme a Galileo, ha aperto la strada per un nuovo e autentico modo di fare scienza, ci corre l’obbligo di soffermarci preliminarmente sulle sue gravi manchevolezze. È stato detto di lui essere un cortigiano ambizioso ed arrivista, disposto a tutto per acquisire onori e ricchezze e di aver proposto un metodo scientifico molto sui generis, privo di elementi matematici e basato su un approccio ai segreti della materia di carattere qualitativo del tutto inadeguato. E ciò mentre, negli stessi anni, Galileo intravedeva la reale base quantitativa della realtà materiale, basata sulla matematica e sulle sue equazioni. Di più, egli non ha neppure compreso la rivoluzione del modello eliocentrico copernicano, ed ha assunto un atteggiamento agnostico che dimostra, in sostanza, essere rimasto ancorato a vecchie concezioni cosmologiche. Bacone appare pertanto un ritardatario nel campo delle scienze cosmologiche e fisiche, avendo trascurato il ruolo fondamentale della matematica. Tutto vero ed anche di più, se si tiene conto di un’accusa di corruzione che lo colpisce nel 1621 e da cui esce male, dovendo risarcire ed abbandonare la vita pubblica. Il problema che si pone dopo tale ritratto negativo, sia sotto il profilo morale e sia sotto quello epistemologico, che ci descrive un Bacone non virtuoso e non scienziato di rango, è quello di comprendere se vi sia dell’altro che ci permette di considerarlo così importante o si tratta di un nostro pregiudizio. Domanda retorica, poiché diffusi e numerosi sono i riconoscimenti dei meriti di Bacone; ma noi vorremmo che i pregi, se ci sono, emergano dalla lettura dei suoi testi e non da giudizi dati per acquisiti.

    Qualche breve cenno biografico: Bacone nasce 1561 (tre anni prima di Galileo) in un ambiente e in un contesto culturale particolare, quello della corte inglese elisabettiana. Suo padre è lord guardasigilli della regina. Avviato agli studi di legge, prima a Cambridge poi a Parigi, entrò in politica trovando spazio con l’andata al trono di Giacomo I Stuart nel 1603. Nel 1607 diventa avvocato generale, nel ’13 procuratore generale, nel ’17 lord guardasigilli, lord cancelliere l’anno dopo col titolo di barone di Verulamio. Una carriera lenta ma efficace lo porta a 56 anni ad esser uno degli uomini più importanti del Regno Unito, poi il crollo del ’21 e la scomparsa dalla scena politica per dedicarsi unicamente allo studio fino alla morte, nel 1626 . Ma, aldilà di ambizioni che lo perderanno, sir Francis è tormentato dal problema del conoscere la realtà e nel 1592 licenzia un breve Discorso in elogio della conoscenza che contiene già molte premesse di ciò che scriverà in seguito. Nel secondo capoverso si dice: «La mente è l’uomo e la conoscenza della mente. Un uomo è solo ciò che egli conosce. La mente stessa non è che un accidente per la conoscenza, perché la conoscenza è un duplicato di ciò che è; la verità dell’essere e la verità del conoscere sono tutt’una.» [1] Asserzione forse ingenua, nell’oblio del ruolo del linguaggio nella formulazione della conoscenza, ma che esprime bene un’aspirazione e una tensione. Bacone tenterà per tutta la sua vita di conseguire un approccio al reale corretto, esente da pregiudizi e da contaminazioni metafisiche, riuscendoci nella misura in cui ha indicato la strada dell’osservazione e della sperimentazione, accostando e rafforzando gli stessi principi che Galileo andava formulando con ben maggior coerenza scientifica. Il fatto è che Bacone era filosofo e non scienziato; aveva un’idea chiarissima del valore dell’osservazione e della sperimentazione per la conoscenza, ma evidentemente non era capace di farne una propria attività reale. Egli sapeva solo scrivere, per questa ragione rimane un teorico, ma un teorico che ha compreso chiaramente il fondamentale ruolo della pratica per il conseguimento della conoscenza autentica, e soprattutto colui che ha indicato nello “strumento” il dispositivo fondamentale per andare oltre la percezione sensoria.

    Bacone è uomo pio e scrive le Meditazioni sacre nel 1567, ma nella Quinta, nel citare San Matteo (6, 34) e il suo «A ciascun giorno basta la sua malizia.» lo interpreta attraverso Orazio affermando: «Noi dobbiamo esser di oggi a causa della brevità della vita, e non di domani, ma (come dice il poeta) «afferrando il giorno» [2]; il futuro, infatti, «sarà  presente a sua volta; perciò basta esser solleciti delle cose presenti.» [3] Un’affermazione che sottolinea come Bacone, che pur aspira al Cielo e all’eternità, abbia gli occhi ben aperti sulla Terra e sulla temporalità. Dopo alcune opere minori, scritte tra il 1603 e il 1609, vi è un lungo periodo di incubazione e di concepimento dell’Instauratio Magna, un grandioso progetto di indagine sulla conoscenza previsto in sei parti, che vede la luce nel 1620 e di cui il Novum Organum (quale Seconda Parte) è di gran lunga la principale. Il titolo stesso pone l’opera come un superamento (in realtà una vera cassazione) dell’Organon aristotelico, che Bacone contesta nei suoi stessi fondamenti logici.  Nella dedica al monarca Francis esprime il desiderio che la sua opera venga considerata un “parto del tempo” piuttosto che del suo ingegno, nel senso la messa in discussione le conoscenze tradizionali è cosa dovuta, necessaria da tempo, e che il puro caso ha trovato in lui il suo agente. Sicché: «se c’è qualcosa di buono nell’opera che presento, sia attribuito all’immensa misericordia e bontà di Dio.» Troveremo ancora questa spersonalizzazione degli intenti e la necessità “oggettiva” di una revisione del procedere scientifico, che si ferma aldiquà della barriera metafisica, poiché: « le conoscenze attuali sono come le colonne d’Ercole per il progresso delle scienze.» [4]  Lo stato delle scienze attuali patisce «principi generali suadenti e pomposi» ma che sono quasi «cose morte» [5] e che, tuttavia, sono oggetto di venerazione al punto da determinare una «servitù delle scienze» che nasce «dall’alterigia di pochi e dalla viltà e pigrizia degli altri.» Il peggio è l’approvazione acritica di ciò che passa per”autorità”:

 

Niente di più ingannevole e sciocco, poi, di quell’approvazione che sorge dal consenso ormai inveterato […] Nei fasti non si registrano né i parti né gli aborti del tempo. Inoltre il consenso universale non è cosa da apprezzare semplicemente per la sua lunga durata. [6]

 

Uno stato del sapere fatto di dottrine sterili, che tarpano le ali ad ogni nuova scoperta nel loro presentarsi come “perfezione di un insieme” [7] coerente quanto inconsistente. Ma che cosa si deve intendere per “stato del sapere”? Non certo ciò che alcuni coraggiosi scienziati dell’inizio del Seicento stanno operando, ma che probabilmente Bacone ignora, mentre i Boyle e i Newton non sono ancora apparsi. Ovviamente ciò che Bacone intende stigmatizzare è la pseudo-scienza aristotelica, che domina incontrastata nelle università catechizzando i giovani intellettuali del tempo. Il punto è che Bacone ha compreso che tale conoscenza tradizionale è fondata più sulle elucubrazioni del pensiero e sui meccanismi della parola che sul rapporto diretto con la sfera del reale. Così sono stati molti (i metafisici) a credere di poter di fondare la scienza sulla dialettica, senza avvedersi che «l’intelletto umano abbandonato a se stesso non è cosa di cui ci si possa fidare» [8] Infatti:

 

La dialettica che essi vogliono adoperare, è utilissima negli affari civili, dove si richiedono le arti del discorrere e dell’opinare; ma è ben lontana dal penetrare nella natura; e, maneggiando ciò che non comprende, essa servì piuttosto a stabilire e quasi a fissare gli errori, che ad aprire la via della verità. [9]

 

Accusa pesante, che nello stesso tempo giustifica l’intento di porre rimedio allo stato depresso della cultura scientifica, risolvibile attraverso un nuovo approccio alla natura, un nuovo modo di concepire la scienza, di coltivarne la conoscenza, di affrontare i problemi che questa pone.

    Il programma operativo si esplicita attraverso le sei parti dell’Instaurazione: 1. Partizione delle scienze; 2. Nuovo Organo o Filosofia prima (Principi d’interpretazione della natura); 3. Fenomeni dell’universo (Storia naturale e sperimentale per la fondazione della filosofia); 4. Scala dell’intelletto, 5. Prodromi (Anticipazioni della filosofia seconda), 6. Filosofia seconda o Scienza attiva. Di quest’ambizioso progetto, rimasto incompiuto, Bacone riuscì a completare solo la seconda parte, il Novum Organum, pubblicato nel 1620, per quanto il De augmentis scientiarum (Della dignità e del progresso delle scienze) possa essere considerato come prima parte dell’Instauratio. Ma vediamo il progetto:

 

Una volta traversata la regione delle arti antiche, istruiremo l’intelletto umano sui modi di progredire. È destinata alla seconda parte la ricerca di un migliore e più perfetto uso della ragione nell’indagine della realtà, e dei veri aiuti da fornire all’intelletto per accrescerne il potere conoscitivo e renderlo capace, per quanto è nella condizione nostra di uomini e di mortali di vincere la difficoltà e l’oscurità della natura. Quest’arte, che qui presentiamo sotto il nome di Interpretazione della natura, è una specie di logica, sebbene sia ben lontana, anzi immensamente lontana, dalla logica volgare. [10]

 

Anche sotto i profilo terminologico Bacone vuole cambiare lo stato delle cose, la logica tradizionale (quella di Aristotele e quella degli Scolastici) è definita «volgare» mentre la nuova logica, quella che ha come fine l’« indagine della realtà», è «interpretazione» del modo reale. Tali premesse capovolgono tutto l’impianto tradizionale del vecchio modo di filosofare, che vedeva la metafisica come filosofia “prima” e l’indagine sulla realtà della natura come “seconda”. In altri termini: Bacone propone una filosofia della concretezza in sostituzione di una filosofia dell’astrattezza. Proseguiamo:

 

Il fine della nostra scienza non è di scoprire argomenti, ma arti; non le conseguenze che derivano da principi posti, ma gli stessi principi; non ragioni di probabilità, ma designazioni e indicazioni di opere. E così, da un diverso scopo vien fuori un diverso risultato: nella logica volgare l’oppositore è vinto e costretto per la forza della discussione, in questa la natura è vinta e costretta per la forza dell’operazione. [11]

 

Passo estremamente importante, che dobbiamo esaminare con attenzione per evitare equivoci. Col termine «argomenti» Bacone intende “materie di disputa”, con «arti» azioni concrete di ricerca sulla realtà. Il «diverso scopo» si costituisce nell’abbandono della discussione fine a se stessa (la disputa), frutto della logica volgare,  dove  il confronto è tra menti pensanti che dibattono e da cui esce un “vincitore”, per perseguire l’instaurazione di un confronto diretto con la natura, che è «vinta » quando se ne carpiscono i segreti attraverso l’«operazione» osservativa e sperimentale. Capovolgendo il procedere logico (interpretativo) si “entra” concretamente nella natura e si “esce” nel contempo da un mero mentalismo sterile e si instaura così una relazione diretta con essa non più mediato da un discorso che le è in gran parte estraneo:

 

Con questo scopo s’accordano la natura e l’ordine delle dimostrazioni: nella logica volgare infatti tutto converge verso la teoria del sillogismo. A mala pena i dialettici si sono occupati dell’induzione, e solo per farne una menzione superficiale, e passare poi subito alle formule del disputare. Noi respingiamo la dimostrazione per sillogismo, perché produce confusione, e si fa sfuggire dalle mani la natura. [12]

 

La logica sillogistica e deduttiva non ha per fine il rapporto diretto con l’oggetto del conoscere, ma piuttosto la creazione di «formule del disputare», prive di alcun rapporto con la realtà. La deduzione, nei termini posti dalla logica tradizionale, diventa “dimostrazione” fine a se stessa e totalmente astratta, quindi «si fa sfuggire dalle mani la natura», laddove l’induzione interroga la natura rimanendo aderente ai suoi fenomeni. Le materie prime del sillogismo sono “proposizioni”, fatte di “parole”, e le parole sono nient’altro che «etichette». La “fabbricazione delle etichette” e il loro assemblaggio logico può assumere caratteri di tale arbitrarietà che splendidi castelli sillogistici poggiano sul nulla:

 

Pertanto, ove le nozioni stesse, che sono l’anima delle parole e la base di tutto l’edificio della sillogistica, vengano malamente e arbitrariamente ricavate dalla realtà naturale, e rimangano vaghe, o insufficientemente definite e circoscritte, insomma in qualunque modo viziose, tutto è a cadere. [13]

 

Ma se « tutto è a cadere » sul piano della conoscenza, « tutto è ad erigersi » sul piano creativo della metafisica. In questo senso Bacone è il primo pensatore che coglie a fondo il problema dell’opposizione radicale ed inconciliabile tra la conoscenza del reale fisico e l’invenzione dell’immaginario metafisico. Il Nostro lascia così la deduzione sillogistica alle «arti popolari e alle credenze» metafisiche, ribadendo invece il valore dell’induzione diretta come fondamento del conoscere. Il ragionamento deduttivo è semplice, rapido e «si presta moltissimo alle dispute» [14]  quello induttivo è «continuo e per gradi» ma è tale che «la natura stessa li riconosca» in quanto «inerenti all’interno delle cose stesse.» [15]

    Inoltre, l’induzione “sul reale” non ha niente a che fare con l’induzione intesa secondo la logica volgare:

 

Occorre, però, che la forma stessa dell’induzione, e il giudizio che sorge da essa, siano profondamente modificati. Infatti quella forma di induzione di cui parlano i dialettici e che procede per enumerazione semplice, è qualcosa di puerile, e conclude senza necessità, perché resta esposta al pericolo di un’instanza che contraddice, conosce solo particolari abituali, e non raggiunge mai una conclusione. [16]

 

Bacone ha perfettamente compreso come la logica tradizionale si fondi solo su formule, moduli e schemi, del tutto preconcetti e avulsi dalla realtà, sicché in essa ciò che passa per “induzione” è un puro fantasma. I « particolari abituali », ovvero schematici e formali, sono gli inconsistenti e astratti costituenti di un’induzione sul metafisico che non ha niente a che fare con l’induzione sul reale. Solo l’operatività scientifica, osservativa e sperimentale, permette un’induzione vera e corretta. La metafisica può ben disputare sull’astratto:

 

Per la scienza è invece necessaria un’induzione, che sia capace di vagliare e analizzare l’esperienza, per mezzo di esclusioni e reiezioni rigorose, e di concludere infine secondo necessità. Se la logica volgare dei dialettici ha richiesto una lunga elaborazione ed ha fatto esercitare tanti ingegni, ancora più ci si dovrà affaticare per quest’altra, che non deriva dai recessi della mente, ma della viscere stesse della natura. [17]

 

La dicotomia mente/natura è qui posta con vigore ma va colta correttamente, poiché è ovvio che solo la mente può interpretare la natura in quanto strumento primario per accedere ai suoi segreti. L’opposizione è tra un uso “mentalistico”, quindi autoreferenziale, e uno “naturalistico”; quindi tra un’operatività tutta mentale e astratta che agisce su un piano “isolato” e alieno dalla natura (meta-fisico), ed un’operatività osservativa e sperimentale che agisce sul piano (fisico) della natura stessa. Piano che non è affatto quello dei sensi: «poiché i sensi s’ingannano», e «Perciò è un grande errore affermare che il senso è la misura delle cose.» [18] Viene posto così con forza teorica ciò che Galileo pone negli stessi anni sul piano della pratica: cioè l’utilizzo dello “strumento” come mezzo primario di osservazione della realtà e di misura dei suoi denotati. Ciò che Bacone non ha ben chiaro è che è strumento veritativo è anche quello fornisce la misura, che la misura è corollario indispensabile dell’osservazione, che la misura è sempre una “quantità”, e che questa si esprime solo attraverso il dato matematico.

    Il Nuovo Organo deve definire il metodo d’approccio per un’autentica interpretazione della natura, e il Nostro pensa che la forma aforistica possa essere efficace. In realtà solo i primi 58 punti del Primo Libro sono in questa forma, i successivi presentandosi come paragrafi numerati. Vediamone alcuni:

 

3. La scienza e la potenza umana coincidono, perché l’ignoranza della causa preclude l’effetto, e alla natura si comanda solo ubbidendole: quello che nella teoria fa da causa nell’operazione pratica è di regola. [19] 

 

Essere in sintonia con la natura significa “ubbidirle”, solo così essa si lascia possedere. Ciò che è individuato come “causa” sul piano teorico (osservazionale) è la “regola” sul piano operativo (sperimentale). Le «nuove opere» della scienza non sono possibili per mezzo della logica tradizionale (11.), la deduttività sillogistica è «incapace di penetrare nella profondità della natura.» (13.) poiché essa «costringe il nostro assenso, non la realtà.». Gli strumenti della logica tradizionale sono le proposizioni (14.), fatte di parole-etichette che strutturano solo « insegne di nozioni ». Ma:

 

15. Nelle nozioni non c’è nulla di rigoroso, così in quelle logiche come in quelle fisiche; sostanza, qualità, azione, passione e neppure l’essere stesso sono veri concetti; tanto meno grave-leggero, denso-tenue, umido-secco, generazione-corruzione, attrazione-repulsione, elemento, materia-forma, e così via; son tutte nozioni fantastiche e mal definite. [20]

 

La “nozione”, quindi, cioè il preteso “saputo”, è la morte della conoscenza, ed i “concetti” in senso tradizionale (idealistico) puri fantasmi.

    È veramente straordinario come un uomo dell’inizio del Seicento abbia intuito come la “nozione” basata sul discorso e sulla nominazione non abbia nulla a che fare con la complessità strutturale della materia in un momento in cui essa era ancora del tutto sconosciuta. Bacone intuisce perfettamente che le concettualizzazioni relative ad essa, espresse con nomi dei suoi supposti “modi d’essere”, ne mistificano profondamente l’essenza. Il divenire profondo della materia (quello noi oggi chiamiamo subnucleare o elementare) non è concepibile con “stati” nominabili ed etichettabili; bensì come un flusso continuo e complesso dove una cosa è nello stesso tempo un’altra, o “già” un’altra, nel momento in cui la si è osservata. «Arbitrio e aberrazione» caratterizzano per Bacone gli assiomi e i concetti astratti derivanti dall’ «induzione volgare» (17. e 18.) [21] Vi è una via falsa e una via vera alla conoscenza (19.); la prima (quella dialettica): «dal senso e dai particolari vola subito agli assiomi generalissimi », la seconda (quella sperimentale):  «risalendo per gradi e ininterrottamente la scala e  della generalizzazione, fino a pervenire agli assiomi generalissimi: questa è la vera via, sebbene non sia ancora stata percorsa dagli uomini.» [22] La prima via, tutta “intellettuale”, è così facile e comoda che da sempre è stata preferita e ritenuta soddisfacente. Però:

 

20. L’intelletto abbandonato a se stesso infila spontaneamente la prima via, e la segue secondo le regole della dialettica. La mente umana infatti tende a salire subito a ciò che vi è di più generale e quivi giunta fermarsi, perché si stanca ben presto dell’esperienza. Questo difetto è accentuato dalla dialettica con il suo sfoggio di disputazioni. [23]

 

Pensiamo di interpretare il pensiero baconiano nel tradurre così: il lavoro sperimentale è faticoso e noioso, il gioco dialettico facile, divertente ed appagante. Però col primo si produce conoscenza, col secondo si fabbricano solo fantasmi metafisici. Quando sorge qualche difficoltà non risolvibile con artifici dialettici (26.) «si cerca di salvare l’assioma con qualche distinzione futile, laddove occorrerebbe piuttosto correggerlo.» [24]

    L’abbandono dei processi conoscitivi erronei o falsi non è tuttavia sufficiente per porsi su una corretta via alla conoscenza, occorre anche “disintossicarsene”:

 

38. Gli idoli e le nozioni false che hanno invaso l’intelletto umano gettandovi radici profonde non solo assediano la mente umana sì da rendere difficile l’accesso alla verità, ma (anche dato e concesso tale accesso), essi continuerebbero a nuocerci anche durante il processo di instaurazione delle scienze, se gli uomini, di ciò avvisati, non si mettessero in condizione di combatterli, per quanto è possibile. [25]

 

L’”assedio” della pseudo-scienza alle facoltà intellettive è tale che, se pure è possibile una sortita liberatoria alla verità, il percorso verso essa è reso difficoltoso dai pesi di una tradizione inveterata. Non basta perciò abbandonare gli idoli, bisogna «combatterli», poiché essi sono sempre tra noi. L’argomento è ben noto: gli idoli secondo Bacone sono di quattro specie, quelli “della tribù” (41.) afferiscono la natura umana e tendono a deformare la realtà; quelli “della spelonca” (42.) dipendono dalla singolarità dell’individuo e possono portare all’incomprensione della realtà esterna; quelli “del foro” (43.) derivano dallo stare insieme degli uomini e dal discorrere generico («per così dire da un contratto e dai reciproci contatti del genere umano» [26]), dalle convenzioni del discorso, dalla chiacchiera, dal “sentito dire”; quelli “del teatro”, infine, sono i cosiddetti «sistemi filosofici » costruiti con la metafisica, escogitati come «favole preparate per essere rappresentate sulla scena, buone a costruire mondi di finzione e di teatro.» [27]

    La ragione per la quale gli idoli della tribù si sono imposti dipendono da alcuni fattori. Il primo (45.): la nostra struttura psichica ci porta a vedere nella realtà più ordine di quanto ce ne sia, ciò conduce all’invenzione di «parallelismi, corrispondenze e relazioni che in realtà non esistono.» [28] Un secondo (46.): «L’intelletto umano quando trova qualche nozione che lo soddisfa, o perché ritenuta vera, o perché avvincente e piacevole, conduce tutto il resto a convalidarla ed a coincidere con essa. E, anche se la forza delle instanze contrarie è maggiore […] non ne tiene conto […] pur di conservare indisturbata l’autorità delle sue prime affermazioni.» [29]  Per quanto l’intelletto umano sia mobile e cerchi spesso il nuovo, finisce spesso per ricadere negli «universali ancor più noti» [30], cioè alle solite «cause finali» (48.):

 

Le quali tengono assai più della natura dell’uomo che di quella dell’universo, e hanno corrotto la filosofia in mille modi. Inoltre è proprio del filosofo leggero ed inetto cercare la causa tra ciò che è massimamente universale, trascurando, invece, di ricercare le cause nelle cose subordinate e subalterne. [31] 

 

Il cristiano Bacone non può cogliere il senso della sua affermazione, pena la negazione della causa finale per eccellenza: Dio. Egli ha compreso molto bene come il concetto di “causa finale” sia meramente antropico («della natura dell’uomo») e per nulla ontologico, ma poi conserva il concetto di causa prima, altrettanto inconsistente, nel definire le uniche cause vere, reali ed esistenti, come ad Lui «subordinate e subalterne». D’altra parte, il fantasticare su immaginarie cause finali è una caratteristica della psiche umana difficilmente eliminabile, poiché la concettualizzazione causa–prima/causa–ultima appartiene alla fenomenologia psichica quale esigenza omeostatica, radicata e cogente. L’uomo “crede ciò che sceglie” e tra l’inesistenza di Dio e la sua esistenza è proprio questa che egli “sceglie”, poiché lo rassicura, lo tranquillizza, gli dà speranza. Bacone vede che la “sapienza” tradizionale è inconsistente perché l’intelletto è debole ed influenzabile (49.). Ne tenta una spiegazione :

 

Ciò avviene perché l’uomo crede vero ciò che preferisce, e respinge perciò le cose difficili per l’impazienza del ricercare; la realtà pura e semplice, perché deprime le sue speranze; le supreme verità della natura, per superstizione; la luce dell’esperienza per superbia e vanagloria, volendo evitare che la mente sembri occuparsi di cose basse e mutevoli; i paradossi, per stare all’opinione del volgo; ed ancora in moltissimi modi, e spesso impercettibili, il sentimento penetra nell’intelletto e lo corrompe. [32]

 

Il discorso qui è rigorosamente gnoseologico, e non ci si deve quindi stupire se i sentimenti vengono ritenuti in tale contesto “corruttori” del conoscere, poiché è evidente che, laddove i sentimenti condizionino la ragione, diventa più difficile conseguire il vero. E tuttavia, se i sentimenti distraggono dalla conoscenza, molto peggio fanno i sensi:

 

50. .Ma il maggior ostacolo e la peggiore aberrazione provengono all’intelletto dai sensi, che sono ottusi e incapaci di risalire al vero per la loro stessa natura ingannevole, tale che quello che li colpisce immediatamente ha sempre la prevalenza su ciò che non li colpisce che alla lontana, anche se quest’ultimo è più importante del primo. [33]

 

Le ragione dell’anti-sensismo di Bacone per un verso hanno la loro ragione nell’aver compreso che solo la strumentazione permette l’indagine sulla realtà sotto la soglia del visibile, ma trova anche ragione in concezioni errate circa la natura delle alterazioni, che egli considera un tipo di movimento minimale e invisibile.

    Veniamo ora agli idoli della spelonca cui vanno soggetti uomini di grande ingegno, ma che (54.) credendo troppo in se stessi lo utilizzano male e che «quando si rivolgono alla filosofia e alle speculazioni universali finiscono per deturparle» [34]  È questo il caso di Aristotele «che ha reso la sua filosofia naturale schiava della logica e quasi inutile, perché influenzata dalle contese verbali.»  Qui, come altrove, Bacone sostiene che una speculazione che non operi sulla realtà, ma che utilizzi artifici puramente dialettici, non è solo inconsistente, ma conduce ad errori esiziali per la filosofia. Il più disprezzato quale vittima degli idola specus è Paracelso (definito altrove “imbroglione e spregevole”) insieme con tutta la banda dei suoi seguaci, che «hanno costruito una filosofia naturale affatto fantastica »  [35]. In quanto agli idoli del foro (59.):  essi vengono definititi «i più molesti di tutti, perché si sono insinuati nell’intelletto per l’accordo delle parole e dei nomi. Gli uomini credono che la loro ragione domini le parole, ma accade anche che le parole ritorcano e riflettano la loro forza sull’intelletto, e questo rende sofistiche e inattive la filosofia e le scienze.» [36] Con l’espressione «parole e nomi» Bacone intende il discorso banale della quotidianità, in cui egli intravede delle cogenze concettuali e semantiche che sfuggono al controllo della ragione, e suddivide gli idola fori in due specie:

 

60. Gli idoli che penetrano nell’intelletto per mezzo delle parole sono di due specie: o sono nomi di cose inesistenti (come sono cose che mancano di nome, perché non sono ancora cadute sotto l’osservazione; così vi sono nomi di cose inesistenti, perché prodotte da fantastiche supposizioni); o sono nomi di cose che esistono, ma confusi ed indeterminati e impropriamente astratti dalle cose. […][37]

 

Gli idola fori della prima specie, cui appartengono la fortuna, il primo mobile, le orbite planetarie, l’elemento fuoco, Bacone li ritiene facilmente estirpabili. Quelli della seconda, invece, frutti di una «cattiva e inetta astrazione», quali sono le parole con più significati che generano ambiguità, e tra queste la parola umido in cui Bacone vede otto significati differenti, diventando tutt’uno col linguaggio corrente sino a diventare difficilmente emendabili. Peggio sono verbi (come generare, corrompere, alterare) riferiti ad azioni mal definite, mentre i peggiori in assoluto sono aggettivi come pesante-leggero e tenue-denso.

    Gli idoli del teatro (61.) sono quelli « introdotti dalle favole delle teorie e dalle cattive leggi delle dimostrazioni.» [38]; si tratta di prodotti spurii della filosofia, che possono «fondare e stabilire svariati dogmi dottrinari.» [39] Di essi si precisa:

 

E le favole di questo teatro hanno la stessa caratteristica della rappresentazioni teatrali, create dai poeti, perché le narrazioni finte per la scena sono più garbate ed eleganti dei fatti veri, tratti dalla storia, e più prossime a ciò che ognuno desidera. [40]

 

Torna in queste ultime parole l’importante concetto del “desiderio psichico” di trovare in una certa teoria ciò in cui già si crede. Garbo ed eleganza di tali filosofeggianti « rappresentazioni teatrali » sono fatte apposta per appagare tale desiderio, e, “funzionando” assai bene, costituiscono un gravissimo pericolo per la conoscenza. I creatori degli idola theatri vengono suddivisi in tre categorie: la prima riguarda la rationale genus philosophantium, alla lettera: la “classe razionale dei filosofanti” (tradotta anche dei sofisti o intellettualisti). La seconda quella dei faciloni (o empiristi), con riferimento agli alchimisti. La terza quella dei teologi. Vediamole sinteticamente: «Così i filosofi intellettualisti traggono dall’esperienza dati volgari e sconnessi […] Un altro tipo è costituito da quei filosofi che hanno lavorato con cura e assiduamente attorno a pochi esperimenti […] Un terzo tipo è quello di quei filosofi che mescolando alla filosofia la teologia …» [41] I fabbricanti degli idola theatri della prima specie producono teorie false perché partono da elementi inconsistenti o incoerenti, quelli della seconda perché i dati di base sono parziali e insufficienti, quelli della terza perché inquinano la ricerca del vero con l’assunzione di elementi estranei di tipo religioso (non-cristiano). Tra i rappresentanti del primo tipo emerge Aristotele, «colui che con la sua dialettica ha corrotto la filosofia naturale.»; tra quelli del secondo gli Alchimisti ed anche Gilbert (lo studioso del magnetismo); appartenenti al terzo tipo sono quelli che hanno prodotto i danni maggiori: Pitagora e Platone.

    Il pretendere di “dimostrare” su basi erronee è disastroso per il conoscere: «Le cattive dimostrazioni sono la difesa e il presidio proprio degli idoli: quelle che si traggono dall’arte dialettica valgono solo a sottomettere il mondo al pensiero umano, e questo alle parole.» [42] Bacone allude a una realtà cosmica “modellata” sulle idee dell’uomo e non considerata in se stessa, con il pensiero che “va a rimorchio” del discorso quale sequenza organizzata di parole. Mentre, all’opposto: «La miglior dimostrazione è l’esperienza, purché ci si attenga strettamente all’esperimento.» [43] L’esperienza è propria dello studio della natura, del naturalismo osservativo e sperimentale, ciò che all’epoca era chiamato filosofia naturale e che il Nostro ritiene oggetto di trascuratezza e sottovalutazione:

 

80. Questa gran madre delle scienze è degradata indegnamente al posto di ancella e se ne è fatto un aiuto alla medicina e alla matematica, costringendola a dare una prima ripulitura e infarinatura alle menti impreparate dei giovanetti, perché poi essi si applichino con maggior facilità a qualche altra disciplina. Nessuno si aspetti un gran progresso nelle scienze, specialmente nella loro parte operativa, finché la filosofia naturale non sarà protratta alle scienze particolari e queste similmente ricondotte ad essa. [44] 

 

Il naturalismo, sulla base della gerarchizzazione degli studi in base all’oggetto posta da Aristotele (Metafisica, VI (E), 1, 1026 a) vede gli studi sulla natura al gradino più basso (perché si occupa di cose corporee), a livello intermedio la matematica (poiché si occupa di enti astratti), al vertice la teologia, perché si occupa di Dio. Da ciò sarebbe derivato un utilizzo ancillare dell’osservazione e dello sperimentalismo, quali puri esercizi ausiliari propedeutico-didattici a studi più “nobili”, quelli concernenti gli enti immateriali o divini. È su questa base della teologia idealistica greca passata pari pari in quella cristiana, che il pio Bacone, colui che aveva affermato che «poca filosofia naturale…inclina all’ateismo, ma molta…riconduce alla religione.» (Meditazioni sacre, 10.)  [45] si vede costretto ad ammettere sconsolatamente:  «Né si deve trascurare il fatto che in tutte le età la filosofia naturale ha trovato un avversario molesto e difficile nella superstizione e nello zelo religioso cieco e smodato.» [46]

    Il Nostro tiene molto all’oggettività della ricerca, ed a una certa sua “spersonalizzazione”, sì che in più luoghi ribadisce il fatto che il metodo che egli propone non punta tanto sulla capacità individuale, quanto sulla validità del “metodo” di condurre l’operatore serio e preparato a far sì che la natura “si riveli” attraverso una sorta di attività maieutica sulla natura, che fa emergere e chiarirsi dal suo seno stesso i segreti che la concernono. Al 122. egli scrive:    

 

Il nostro metodo di ricerca delle scienze mette quasi alla pari tutti gli ingegni, perché lascia poco spazio alla capacità individuale, ma li lega con regole solidissime e con dimostrazioni. Perciò, questa nostra idea, come si detto spesso, è più felice che ingegnosa, e noi siamo soliti considerare la nostra opera come prodotto più del tempo che dell’ingegno. Il caso ricorre non meno nel pensiero umano, che nelle opere e nei fatti. [47]

 

Si noterà come Bacone anticipi di almeno tre secoli la metodologia della ricerca scientifica contemporanea, basata per un verso sul rigore delle “procedure” e per un altro sull’”azzeccare” la prova rivelativa tra molte sterili, ma tutte eseguite “in batteria” con minime e mirate varianti. La casualità per Bacone è un elemento importante della scoperta scientifica, ma assai raro; all’articolo 108. si legge:  «molte cose utili sono state scoperte da uomini che non le cercavano affatto e che le hanno incontrate quasi per caso o occasionalmente, mentre attendevano ad altro.» [48]

    Il Secondo Libro dell’Organum mette a fuoco il tema delle cause, osservando qui come sia accettabile la differenziazione aristotelica in materiale, formale ed efficiente, ma non certo in finale. Questa «è tanto lontana da portare giovamento alle scienze che anzi le corrompe, essa può valere soltanto per lo studio delle azioni umane.» [49] Osservazione corretta, ma che non tiene conto che per Aristotele (che poneva la teologia al vertice delle “scienze”) la causa finale è irrinunciabile in quanto è Dio-Verità-Bene, il superiore e paradigmatico “limite della finalità”. Bacone decide di  superare le definizioni di Aristotele utilizzando un termine, quello di  forma, dal greco già utilizzato, ma con significato totalmente differente. Se per lo Stagirita si trattava di forma-immagine (μορφέ-εϊδος) informante la materia bruta (in un senso molto vicino all’”idea” platonica) nel determinare l’essere della “cosa” reale col passaggio dalla mera potenza all’atto di esistere, per il Nostro la forma è una legge fisica che fa essere la cosa e la governa. Leggiamo:

 

2. Benché in natura non esistano, infatti, realmente che i corpi individuali producenti atti puri individuali, secondo una legge; nelle scienze è questa legge stessa e la ricerca, scoperta ed esplicazione di essa, che fa da fondamento del sapere e dell’operare. Col nome di forma noi intendiamo questa legge e i suoi articoli, specialmente perché il nome di forma è invalso generalmente e divenuto famigliare. [50]

 

Bacone ha deciso di utilizzare il termine forma nel senso di “legge formativa” degli enti materiali. In quanto alle aristoteliche cause efficiente e materiale, posto che le si voglia considerare, esse si riducono a cause “instabili” (causae fluxae) che solo «in alcuni casi portano la forma» [51].  Questa è la legge fondamentale dell’essere a cui lo scienziato deve fare riferimento:

 

3. Ma chi conosce la forma, abbraccia l’unità della natura anche nelle materie più dissimili. Perciò può scoprire e produrre ciò che ancora non si è verificato, come quelle cose che né l’evoluzione naturale, né le attività sperimentali e neppure il caso stesso hanno mai fato venire in atto, né sottoposto alla riflessione umana. Perciò dalla scoperta delle forme segue la verità nella speculazione e la libertà nell’operare. [52]

 

Il concetto di forma in Bacone rimane ambiguo e privo di una definizione precisa. Il fatto stesso che qui si passi dal singolare (in riferimento all’unità della natura) al plurale (come afferente i singoli fenomeni o enti) ne è chiaro segno. Per un verso egli pare ancora legato al vecchio concetto di essenza, per un altro egli pare riprendere una teoria corpuscolare (in riferimento ai semi anassagorei o agli atomi leucippei?) dove la forma potrebbe assumere i caratteri della struttura intima della materia nei suoi componenti elementari. In ogni caso Bacone esorta a stare lontani  dalla «dannosa e inveterata consuetudine di volger la ricerca ad astrazioni» e di «derivare le scienze da quegli stessi fondamenti che sono propri dell’attività pratica» [53] Quest’insistere sulla “praticità” rivela però anche l’incapacità di cogliere l’elemento quantitativo-astratto della struttura materiale, vedendone solo l’aspetto qualitativo. Per Bacone il conoscere la natura e l’operare su di essa presuppongono gli stessi principi, per cui indagare e trasformare sono connessi e contigui, anche perché egli considera l’esperimento stesso come un tipo di “azione” mutativa o almeno perturbante. 

    Legato al concetto di forma è poi quello di regola (5.), che è propria dell’oggetto stesso ma lo è, specularmente, anche dell’approccio umano ad esso. La regola si fonda su due considerazioni. 1. il corpo è la combinazione di un insieme di elementi semplici (schematismo latente), 2. il corpo, da un punto di vista dinamico, nasconde una processualità evolutiva sottostante (processo latente) [54] che è così spiegata:

 

6. Il processo latente del quale parliamo, è ben lontano dal poter essere facilmente concepito dalla mente umana, così piena di preconcetti com’è ora. Non intendiamo, infatti, parlare di misure o segni o scale del processo visibile nei corpi, ma di un processo continuativo, che per la maggior parte sfugge al senso. [55]

 

Diventerebbe sin troppo facile voler intravedere nell’”invisibile processo continuativo” la dinamicità intima della materia elementare in senso moderno, ma ciò sarebbe poco credibile, anche perché, lo ribadiamo, Bacone ha un concetto puramente qualitativo della struttura della materia (es: l’oro è giallo, pesante, malleabile, duttile, fusibile, ecc.). Ciò si evince anche dal fatto che egli, nella trasformazione dei corpi, non si preoccupa mai del “quanto” vada perduto o acquistato, ma del “che cosa” («in ogni generazione e trasformazione dei corpi bisogna cercare ciò che si perde e svanisce» [56]). Una frase dell’aforisma 8. in questo Secondo Libro dell’Organum che recita: «Ottimamente si svolge la ricerca naturale quando la parte fisica si conclude matematicamente.» potrebbe farci pensare diversamente, ma sappiamo da altri passi che egli allude esclusivamente all’opportunità di una qualche misura, e che la matematica (come la logica) sono materie ancillari della fisica. La ricerca della forma passa attraverso la definizione delle instanze di essa per un dato corpo o fatto;  come esempio, relativamente alla natura del calore, Bacone individua 27 instanze di esso che vanno a formare una Tavola dell’essenza (o della presenza); accanto a questa è posta una Tavola dei gradi (o comparazioni), i quali, in numero di 39, completano le definizioni del  concetto di calore. 

    La chiave per l’interpretazione corretta dell’essenza della natura è, comunque, l’induzione (10.), non quella della logica tradizionale, ma quella scientifica («legittima e vera» [57]), che è più oltre spiegata come segue: «16. Così è necessario interamente analizzare e decomporre la natura, non col fuoco certamente [come fanno gli alchimisti] ma con la mente, che è quasi un fuoco divino. La prima opera dell’induzione vera, quanto alla ricerca delle forme, è la reiezione o esclusione delle nature singole […] », dopo di che: «rimarrà sul fondo, in secondo luogo, come residuo da cui siano volate via come un fumo le opinioni, la forma affermativa, solida, vera e ben determinata.» Il concetto di solidità è in Bacone un poco contraddittorio, anche perché, come è detto più oltre (23.), se la forma «una volta osservata in uno, si estende a tutti soggetti» quale “instanza migrante”, va sottolineato che una “migrazione qualitativa” presuppone una certa incorporeità che il Nostro vorrebbe negare. Per delineare il metodo del procedere cognitivo Bacone assume a titolo esemplificativo il concetto di “caldo”, a cui si accede dapprima attraverso una serie di verifiche, poi approdando a una Tavola dei gradi (o comparativa) cui seguono i Processi di reiezione o  di esclusione delle ipotesi incompatibili. Infine, per gradi successivi si giunge a una prima vendemmia della forma  [58] come ipotesi veritativa provvisoria, che andrà sottoposta a una serie ulteriore di verifiche basate sulle differenze. Il percorso verso l’induzione vera passa attraverso le instanze prerogative [59], seguite da altre forma complementari  di controllo al fine di comprendere che cosa  realmente possa accadere se l’ipotesi scientifica è corretta. Se la realtà si accorda con la teoria significa che la forma si è resa evidente e registrabile come veritativa attraverso la scoperta e del suo schematismo latente (come struttura) e del suo processo latente (come divenire).

    La procedura conoscitiva è descritta in maniera un po’ pedantesca e pleonastica, ma anche abbastanza discutibili sono le varie caratterizzazioni della dinamica naturale in diciannove tipi differenti di moto o “virtù operative” (quali: resistenza, connessione, indipendenza, continuità, acquisizione, attrazione, assimilazione, configurazione, ecc.) di cui si dice:

 

Poiché dei moti enumerati alcuni sono del tutto invincibili, altri sono più forti e incatenano, frenano e dispongono quelli, altri agiscono più da lontano; altri in minor tempo e con maggior celerità; altri servono infine a rafforzare, accrescere, ampliare, accelerare i rimanenti. [60]

 

Come si vede si tratta di attività degli elementi della materia che esemplificano (in maniera immaginativa) come essi “si muovano” nei corpi. E non nel vuoto (come pensavano Leucippo e Democrito), bensì in un “pieno” di materia che “si piega” su di sé (Est enim plane plica materiae) e senza lasciare spazi vuoti. In chiusura si precisa:

 

Sia ben chiaro a tutti che in questo Organo si fa questione di logica [di metodo], non di filosofia [di contenuto]. Ma essendo questa nostra logica volta a insegnare e a guidare l’intelletto, non ad afferrare e stringere le astrazioni della realtà con i tenui vitici, per così dire, della mente (come fa la logica volgare), ma ad inserirsi davvero nella natura [sed natura revera persecet]; dirigendosi alla scoperta delle virtù e degli atti dei corpi, con le loro leggi determinate nella materia. [61]

 

Il Novum Organum è opera metodologica estremamente valida nell’“indicare” come debba procedere la ricerca scientifica e l’operatività trasformativa dell’uomo sulla materia, uscendo dalle pastoie metafisiche teologizzanti, non meno che delle fantasie alchemiche e delle superstizioni. Quando però Bacone tenta di entrare in dettagli teorici relativi ai corpi o ai fatti materiali (che sono gli oggetti della sua indagine), ponendo criteri classificatori dei componenti o delle caratteristiche di essi, si coglie approssimazione, insufficienza e persino incoerenza.

    Il Disegno di una storia naturale e sperimentale, che possa servire di base e di fondamento per la vera filosofia è uno scritto pubblicato in appendice all’edizione originale del Novum organum nel 1620. All’inizio degli Aforismi per formare la storia prima si legge:

 

Sotto tre diversi stati può trovarsi la natura, ed è, si può dire, sottoposta a tre specie di governi. Se lasciata libera, la natura segue il suo corso ordinario; dal quale stato essa è allontanata, invece, o  dalle difformità e dalle stranezze della materia e dalla violenza degli impedimenti, o perché costretta e guidata dall’arte e dal ministerio degli uomini. Nel primo stato rientrano le specie naturali, nel secondo i mostri, nel terzo le cose artificiali. Infatti, nelle cose artificiali la natura si piega al dominio dell’uomo e ne resta soggiogata, giacché sono cose che non sarebbero mai sorte senza l’uomo. [62]  

 

Abbiamo qui la conferma che il concetto di esperimento per Bacone assume il doppio significato di “prova” sperimentale sugli enti di natura e “manipolazione” utilitaristica di essi da parte dell’uomo. Esso riceve in Bacone la sua legittimazione quale “corso umano del reale” accanto al corso naturale (potremmo dire “secondo legge” di natura) ed al corso accidentale-traumatico (secondo “casualità”). Egli è il primo pensatore a tematizzare chiaramente il fatto che l’uomo ha apportato artifici profondi sul reale, un reale “alterato” che si alterna e si accompagna alla regolarità e all’irregolarità, sì da farne tre fattori storici nell’evoluzione della natura:

 

La storia naturale è perciò distinta in tre parti, che trattano della libertà, degli errori e dei vincoli della natura, di modo che la possiamo ben distinguere in storia delle generazioni regolari, delle generazioni irregolari e delle arti: quest’ultima noi la chiamiamo anche storia meccanica o sperimentale. [63]

 

Viene poi posta la domanda se si tratti di tre vicende separate o connesse, e si conclude che lo storico della natura deve, da caso a caso, coglierle insieme o considerarle separatamente. In ogni caso l’importante è considerare la storia dell’universo in tutta la sua ampiezza, ed uscire da una visione meschinamente umana della sua realtà:

 

Bisogna evitare, infatti, di restringere il mondo alle dimensioni anguste dell’intelletto, come fin’ora si è fatto; occorre invece dilatare ed estendere la portata dell’intelletto fino ad accoglier l’intera immagine del mondo, qual’è in realtà. [64] 

 

    Con questa considerazione, di importanza capitale per la conoscenza, passiamo ad occuparci dell’opera Della dignità e del progresso delle scienze (De augmentis scientiarum), pubblicato nel 1623, col quale Bacone elabora una classificazione delle scienze e una storicizzazione del pensiero umano che coprono la prima parta del progetto originario dell’Instauratio Magna. Quest’opera riveste per noi minor interesse, ma ci soffermeremo su alcuni passaggi, come quelli che compaiono nel Libro Primo e ribadiscono criteri metodologici già posti, ma qui meglio definiti in relazione a quel falso sapere metafisico promosso dalla Scolastica che Bacone vede come un «tipo di sapere malsano e autocorrompentesi» da parte di sfaccendati («avevano a disposizione molto tempo libero») legati ad Aristotele («loro dittatore»). Essi hanno prodotto «tele operosissime, che si vedono ancora nei loro libri, valendosi assai poco dell’ordito della materia, moltissimo invece dell’agitazione dello spirito.» [65] È ribadito anche qui il danno per la conoscenza di un mero intellettualismo ripiegato sul pensiero e lontano dalla realtà. Infatti l’indagine sul reale va lasciata pilotare dalla realtà stessa e non da elucubrazioni mentali astratte, poiché:

 

Invero, la mente umana, se agisce sulla materia e si mette a considerare la natura e le opere di Dio, è guidata dalla materia e nella materia trova il suo limite; se invece si volge entro di sé, quasi tessendo una tela di ragno, allora resta affatto indeterminata, e produce magari tele ammirabili per la finezza dei fili e dell’opera, ma di nessuna utilità, perché frivole e vane. [66]

 

Le tele di ragno del “mentalismo” metafisico non sono altro che auto-trappole, che rendono impossibile ogni conoscenza e portano ad opere esteticamente «ammirabili», ma inutili quanto oziose. All’origine dei numerosi errori metodologici messi in atto da una pseudo-filosofia scissa dalla realtà vi è una sopravvalutazione della mente umana:

 

Un altro errore proviene dall’eccessiva reverenza per l’intelletto umano, reverenza che rasenta l’adorazione; e per questo motivo gli uomini si sono allontanati dalla contemplazione della natura e dall’esperienza, riducendosi ad aggirarsi  tra le loro proprie meditazioni e le finzioni della mente. [67]

 

Ma questa presunzione umana si coniuga anche con l’«impazienza di dubitare e la cieca fretta nel giudicare, senza la debita e matura sospensione del giudizio.» Le vie dello studioso sono paragonabili a quello del viandante; quelle inizialmente facili possono portare al difficile, mentre spesso la via migliore è aspra all’inizio in seguito diviene agevole e porta più facilmente alla meta. Perciò: «Non altrimenti avviene nella speculazione, dove se si inizia dal certo si finisce nel dubbio, se invece si comincia col dubbio, pazientemente sopportandolo per un certo tempo, si  sbocca poi nel certo.» [68]

    Saltiamo ora al Libro Terzo del Della dignità, dove si cerca di fondare una filosofia prima che sia base di branche specifiche in funzione dell’oggetto. Non ci stupiremo del fatto che Bacone includa Dio tra gli oggetti del filosofare, ricadendo in una “scienza del Divino” identificabile con la metafisica che intende combattere. All’epoca, infatti, era del tutto impensabile la sua esclusione dall’orizzonte delle conoscenze. Si legge:

 

Bisogna dunque dividere la filosofia in tre discipline: scienza di Dio, della natura, dell’uomo. Ma poiché le singole parti della scienza non assomigliano a linee che da diversa provenienza si congiungano poi in un angolo, ma assomigliano piuttosto ai rami i un albero che si dipartono da uno stesso tronco, il quale era liscio e continuo prima di dipartirsi nei vari rami; perciò è  necessario, prima di entrare nella prima divisione, costituire una scienza universale che sia la madre di tutte le altre, e che si possa considerare, nel cammino del sapere, come quella parte della via che è comune, perché anteriore  a ogni separazione e divisione. Questa scienza noi la possiamo chiamare filosofia prima. A essa nessun’altra scienza s’oppone, differendo essa dalle altre più per i limiti entro i quali è contenuta, che per il contenuto e i soggetti che tratta. [69]

 

Nel Capitolo Secondo si vede però come Bacone abbia serie difficoltà nel definire una “scienza di Dio” che ha dovuto essere inclusa “per convenienza” in un contesto, quello gnoseologico, che non può esserle che estraneo. Vediamo come il Nostro cerca di districarsi: «I limiti di questa scienza si definiscono bene quando si considerano i suoi scopi: confutazione dell’ateismo, conversione degli increduli, e conoscenza della legge naturale, ma essa non arriva a tanto da poter edificare la religione.» [70] Sembra evidente che gli “scopi” di una Scienza di Dio, per definizione sfuggente a tutte le procedure poste nel Novum Organum, è immaginabile solo sulla base di assiomi aprioristici e dogmatici del tutto estranei a quella “dignità e al progresso delle scienze” che dà titolo all’opera. Non gliene faremo certo carico, perché sir Francis è colui che con acutezza e con forza ha spazzato di tutte le cianfrusaglie metafisiche il terreno della conoscenza, indicando nel contempo come procedere e quali strumenti utilizzare. C’è solo da rammaricarsi che nel suo secolo ben pochi abbiamo colto la portata del suo pensiero e che ci siano voluti quasi cent’anni perché le sue considerazioni e il suo metodo incominciassero a ricevere la dovuta attenzione.    

 

 



[1] F.Bacone, Discorso in elogio della conoscenza, in: Opere filosofiche, a cura di E.De Mas, vol.I, Bari, Laterza 1965, p.3

[2] Orazio Flacco, Odi, I, 11, 8.

[3] Bacone, Meditazioni sacre, in: Opere filosofiche, vol.I, cit., p.13.

[4] Bacone, La Grande Instaurazione, Prefazione, in: Opere filosofiche, vol.I, cit., p.219.

[5] Ivi, p.220.

[6] Ivi, p.221.

[7] Ivi, p.122.

[8] Ivi, p.224.

[9] Ibidem.

[10] Ivi, p.233.

[11] Ibidem.

[12] Ibidem.

[13] Ivi, pp.233-234.

[14] Ivi, p.234.

[15] Ibidem.

[16] Ibidem.

[17] Ivi, p.235.

[18] Ivi, p.236.

[19] Bacone, Nuovo Organo, in: Opere filosofiche, vol.I, cit., p.257.

[20] Ivi, p.259.

[21] Ivi, p.260.

[22] Ibidem.

[23] Ibidem

[24] Ivi, p.262.

[25] Ivi, p.264

[26] Ivi, p.266.

[27] Ibidem.

[28] Ivi, p.267.

[29] Ivi, p.268.

[30] Ivi, p.269.

[31] Ivi, p.270.

[32] Ibidem.

[33] Ibidem.

[34] Ivi, p.272.

[35] Ibidem.

[36] Ivi, p.274.

[37] Ibidem.

[38] Ivi, p.276.

[39] Ivi, p.277.

[40] Ibidem.

[41] Ibidem

[42] Ivi, pp.285-286.

[43] Ivi, p.286.

[44]

[45] F.Bacone, Meditazioni sacre, in: Opere filosofiche, vol.I, pp.20-21.

[46] F.Bacone, Nuovo Organo, in: Opere filosofiche, vol.I, p.307.

[47] Ivi, pp.333-334.

[48] Ivi, p.321.

[49] Ivi, p.344.

[50] Ibidem.

[51] Ivi, p.345

[52] Ibidem.

[53] Ibidem.

[54] Ivi, p.347.

[55] Ivi, p.349.

[56] Ibidem.

[57] Ivi, p.353.

[58] Ivi, p.387.

[59] Ivi, pp.393-394.

[60] Ivi, p.482.

[61] Ivi, p.500.

[62] F.Bacone, Disegno di storia naturale e sperimentale, in: Opere filosofiche, cit., vol.I, p.509

[63] Ibidem.

[64] Ivi, p.512.

[65] F.Bacone, Della dignità e del progresso delle scienze, in: Opere filosofiche, cit., vol.II, p.41.

[66] Ibidem.

[67] Ivi, p.49

[68] Ivi, p.50.

[69] Ivi, p.147.

[70] Ivi, p.153.