2.2 Il
metodo conoscitivo di Francesco Bacone
Siccome riteniamo che Francis Bacon sia il
pensatore più importante ai fini del rinnovamento
della filosofia secentesca,
ed anche colui che, insieme a Galileo, ha
aperto la strada per un nuovo e
autentico modo di fare scienza, ci corre
l’obbligo di soffermarci
preliminarmente sulle sue gravi manchevolezze.
È stato detto di lui essere un
cortigiano ambizioso ed arrivista, disposto
a tutto per acquisire onori e
ricchezze e di aver proposto un metodo scientifico
molto sui generis,
privo di elementi matematici e basato su
un approccio ai segreti della materia
di carattere qualitativo del tutto inadeguato.
E ciò mentre, negli stessi anni,
Galileo intravedeva la reale base quantitativa
della realtà materiale, basata
sulla matematica e sulle sue equazioni. Di
più, egli non ha neppure compreso la
rivoluzione del modello eliocentrico copernicano,
ed ha assunto un
atteggiamento agnostico che dimostra, in
sostanza, essere rimasto ancorato a
vecchie concezioni cosmologiche. Bacone appare
pertanto un ritardatario nel
campo delle scienze cosmologiche e fisiche,
avendo trascurato il ruolo
fondamentale della matematica. Tutto vero
ed anche di più, se si tiene conto di
un’accusa di corruzione che lo colpisce nel
1621 e da cui esce male, dovendo
risarcire ed abbandonare la vita pubblica.
Il problema che si pone dopo tale
ritratto negativo, sia sotto il profilo morale
e sia sotto quello
epistemologico, che ci descrive un Bacone
non virtuoso e non scienziato di
rango, è quello di comprendere se vi sia
dell’altro che ci permette di
considerarlo così importante o si tratta
di un nostro pregiudizio. Domanda
retorica, poiché diffusi e numerosi sono
i riconoscimenti dei meriti di Bacone;
ma noi vorremmo che i pregi, se ci sono,
emergano dalla lettura dei suoi testi
e non da giudizi dati per acquisiti.
Qualche breve cenno biografico: Bacone
nasce 1561 (tre anni prima di Galileo) in
un ambiente e in un contesto
culturale particolare, quello della corte
inglese elisabettiana. Suo padre è
lord guardasigilli della regina. Avviato
agli studi di legge, prima a Cambridge
poi a Parigi, entrò in politica trovando
spazio con l’andata al trono di
Giacomo I Stuart nel 1603. Nel 1607 diventa
avvocato generale, nel ’13
procuratore generale, nel ’17 lord guardasigilli,
lord cancelliere l’anno dopo
col titolo di barone di Verulamio. Una carriera
lenta ma efficace lo porta a 56
anni ad esser uno degli uomini più importanti
del Regno Unito, poi il crollo
del ’21 e la scomparsa dalla scena politica
per dedicarsi unicamente allo
studio fino alla morte, nel 1626 . Ma, aldilà
di ambizioni che lo perderanno,
sir Francis è tormentato dal problema del
conoscere la realtà e nel 1592
licenzia un breve Discorso in elogio della conoscenza che contiene già
molte premesse di ciò che scriverà in seguito.
Nel secondo capoverso si dice:
«La mente è l’uomo e la conoscenza della
mente. Un uomo è solo ciò che egli
conosce. La mente stessa non è che un accidente
per la conoscenza, perché la
conoscenza è un duplicato di ciò che è; la
verità dell’essere e la verità del
conoscere sono tutt’una.» [1]
Asserzione forse ingenua, nell’oblio del
ruolo del linguaggio nella
formulazione della conoscenza, ma che esprime
bene un’aspirazione e una tensione.
Bacone tenterà per tutta la sua vita di conseguire
un approccio al reale
corretto, esente da pregiudizi e da contaminazioni
metafisiche, riuscendoci
nella misura in cui ha indicato la strada
dell’osservazione e della
sperimentazione, accostando e rafforzando
gli stessi principi che Galileo
andava formulando con ben maggior coerenza
scientifica. Il fatto è che Bacone
era filosofo e non scienziato; aveva un’idea
chiarissima del valore
dell’osservazione e della sperimentazione
per la conoscenza, ma evidentemente
non era capace di farne una propria attività
reale. Egli sapeva solo scrivere,
per questa ragione rimane un teorico, ma
un teorico che ha compreso chiaramente
il fondamentale ruolo della pratica per il
conseguimento della conoscenza
autentica, e soprattutto colui che ha indicato
nello “strumento” il dispositivo
fondamentale per andare oltre la percezione
sensoria.
Bacone è uomo pio e scrive le Meditazioni
sacre nel 1567, ma nella Quinta, nel citare San
Matteo (6, 34) e il suo «A
ciascun giorno basta la sua malizia.» lo
interpreta attraverso Orazio
affermando: «Noi dobbiamo esser di oggi a
causa della brevità della vita, e non
di domani, ma (come dice il poeta) «afferrando
il giorno» [2];
il futuro, infatti, «sarà presente a sua
volta; perciò basta esser solleciti delle
cose presenti.» [3]
Un’affermazione che sottolinea come Bacone,
che pur aspira al Cielo e
all’eternità, abbia gli occhi ben aperti
sulla Terra e sulla temporalità. Dopo
alcune opere minori, scritte tra il 1603
e il 1609, vi è un lungo periodo di
incubazione e di concepimento dell’Instauratio Magna, un grandioso
progetto di indagine sulla conoscenza previsto
in sei parti, che vede la luce
nel 1620 e di cui il Novum Organum (quale Seconda Parte) è di gran lunga
la principale. Il titolo stesso pone l’opera
come un superamento (in realtà una
vera cassazione) dell’Organon aristotelico, che Bacone contesta nei suoi
stessi fondamenti logici. Nella dedica
al monarca Francis esprime il desiderio che
la sua opera venga considerata un
“parto del tempo” piuttosto che del suo ingegno,
nel senso la messa in
discussione le conoscenze tradizionali è
cosa dovuta, necessaria da tempo, e
che il puro caso ha trovato in lui il suo
agente. Sicché: «se c’è qualcosa di
buono nell’opera che presento, sia attribuito
all’immensa misericordia e bontà
di Dio.» Troveremo ancora questa spersonalizzazione
degli intenti e la
necessità “oggettiva” di una revisione del
procedere scientifico, che si ferma
aldiquà della barriera metafisica, poiché:
« le conoscenze attuali sono come le
colonne d’Ercole per il progresso delle scienze.»
[4] Lo stato delle scienze attuali patisce
«principi generali suadenti e pomposi» ma
che sono quasi «cose morte» [5]
e che, tuttavia, sono oggetto di venerazione
al punto da determinare una
«servitù delle scienze» che nasce «dall’alterigia
di pochi e dalla viltà e
pigrizia degli altri.» Il peggio è l’approvazione
acritica di ciò che passa
per”autorità”:
Niente
di più ingannevole e sciocco, poi, di quell’approvazione
che sorge dal consenso
ormai inveterato […] Nei fasti non si registrano
né i parti né gli aborti del
tempo. Inoltre il consenso universale non
è cosa da apprezzare semplicemente
per la sua lunga durata. [6]
Uno stato del sapere fatto
di dottrine sterili, che tarpano le ali ad
ogni nuova scoperta nel loro
presentarsi come “perfezione di un insieme”
[7]
coerente quanto inconsistente. Ma che cosa
si deve intendere per “stato del
sapere”? Non certo ciò che alcuni coraggiosi
scienziati dell’inizio del
Seicento stanno operando, ma che probabilmente
Bacone ignora, mentre i Boyle e
i Newton non sono ancora apparsi. Ovviamente
ciò che Bacone intende
stigmatizzare è la pseudo-scienza aristotelica,
che domina incontrastata nelle
università catechizzando i giovani intellettuali
del tempo. Il punto è che Bacone
ha compreso che tale conoscenza tradizionale
è fondata più sulle elucubrazioni
del pensiero e sui meccanismi della parola
che sul rapporto diretto con la
sfera del reale. Così sono stati molti (i
metafisici) a credere di poter di
fondare la scienza sulla dialettica, senza
avvedersi che «l’intelletto umano
abbandonato a se stesso non è cosa di cui
ci si possa fidare» [8]
Infatti:
La
dialettica che essi vogliono adoperare, è
utilissima negli affari civili, dove
si richiedono le arti del discorrere e dell’opinare;
ma è ben lontana dal
penetrare nella natura; e, maneggiando ciò
che non comprende, essa servì
piuttosto a stabilire e quasi a fissare gli
errori, che ad aprire la via della
verità. [9]
Accusa pesante, che nello
stesso tempo giustifica l’intento di porre
rimedio allo stato depresso della
cultura scientifica, risolvibile attraverso
un nuovo approccio alla natura, un
nuovo modo di concepire la scienza, di coltivarne
la conoscenza, di affrontare
i problemi che questa pone.
Il programma operativo si esplicita
attraverso le sei parti dell’Instaurazione: 1. Partizione delle scienze;
2. Nuovo Organo o Filosofia prima (Principi
d’interpretazione della natura); 3.
Fenomeni dell’universo (Storia naturale e
sperimentale per la fondazione della
filosofia); 4. Scala dell’intelletto, 5.
Prodromi (Anticipazioni della
filosofia seconda), 6. Filosofia seconda
o Scienza attiva. Di quest’ambizioso
progetto, rimasto incompiuto, Bacone riuscì
a completare solo la seconda parte,
il Novum Organum, pubblicato nel 1620, per quanto il De augmentis
scientiarum (Della dignità e del progresso delle scienze) possa
essere considerato come prima parte dell’Instauratio. Ma vediamo il
progetto:
Una
volta traversata la regione delle arti antiche,
istruiremo l’intelletto umano
sui modi di progredire. È destinata alla
seconda parte la ricerca di un
migliore e più perfetto uso della ragione
nell’indagine della realtà, e dei
veri aiuti da fornire all’intelletto per
accrescerne il potere conoscitivo e
renderlo capace, per quanto è nella condizione
nostra di uomini e di mortali di
vincere la difficoltà e l’oscurità della
natura. Quest’arte, che qui
presentiamo sotto il nome di Interpretazione
della natura, è una specie di
logica, sebbene sia ben lontana, anzi immensamente
lontana, dalla logica
volgare. [10]
Anche sotto i profilo
terminologico Bacone vuole cambiare lo stato
delle cose, la logica tradizionale
(quella di Aristotele e quella degli Scolastici)
è definita «volgare» mentre la
nuova logica, quella che ha come fine l’«
indagine della realtà», è
«interpretazione» del modo reale. Tali premesse
capovolgono tutto l’impianto
tradizionale del vecchio modo di filosofare,
che vedeva la metafisica come
filosofia “prima” e l’indagine sulla realtà
della natura come “seconda”. In
altri termini: Bacone propone una filosofia
della concretezza in sostituzione
di una filosofia dell’astrattezza. Proseguiamo:
Il
fine della nostra scienza non è di scoprire
argomenti, ma arti; non le
conseguenze che derivano da principi posti,
ma gli stessi principi; non ragioni
di probabilità, ma designazioni e indicazioni
di opere. E così, da un diverso
scopo vien fuori un diverso risultato: nella
logica volgare l’oppositore è
vinto e costretto per la forza della discussione,
in questa la natura è vinta e
costretta per la forza dell’operazione. [11]
Passo estremamente
importante, che dobbiamo esaminare con attenzione
per evitare equivoci. Col
termine «argomenti» Bacone intende “materie
di disputa”, con «arti» azioni
concrete di ricerca sulla realtà. Il «diverso
scopo» si costituisce
nell’abbandono della discussione fine a se
stessa (la disputa), frutto della
logica volgare, dove il confronto è tra menti pensanti che
dibattono e da cui esce un “vincitore”, per
perseguire l’instaurazione di un
confronto diretto con la natura, che è «vinta
» quando se ne carpiscono i
segreti attraverso l’«operazione» osservativa
e sperimentale. Capovolgendo il
procedere logico (interpretativo) si “entra”
concretamente nella natura e si
“esce” nel contempo da un mero mentalismo
sterile e si instaura così una
relazione diretta con essa non più mediato
da un discorso che le è in gran
parte estraneo:
Con
questo scopo s’accordano la natura e l’ordine
delle dimostrazioni: nella logica
volgare infatti tutto converge verso la teoria
del sillogismo. A mala pena i
dialettici si sono occupati dell’induzione,
e solo per farne una menzione
superficiale, e passare poi subito alle formule
del disputare. Noi respingiamo
la dimostrazione per sillogismo, perché produce
confusione, e si fa sfuggire
dalle mani la natura. [12]
La logica sillogistica e
deduttiva non ha per fine il rapporto diretto
con l’oggetto del conoscere, ma
piuttosto la creazione di «formule del disputare»,
prive di alcun rapporto con
la realtà. La deduzione, nei termini posti
dalla logica tradizionale, diventa
“dimostrazione” fine a se stessa e totalmente
astratta, quindi «si fa sfuggire
dalle mani la natura», laddove l’induzione
interroga la natura rimanendo
aderente ai suoi fenomeni. Le materie prime
del sillogismo sono “proposizioni”,
fatte di “parole”, e le parole sono nient’altro
che «etichette». La
“fabbricazione delle etichette” e il loro
assemblaggio logico può assumere
caratteri di tale arbitrarietà che splendidi
castelli sillogistici poggiano sul
nulla:
Pertanto,
ove le nozioni stesse, che sono l’anima delle
parole e la base di tutto
l’edificio della sillogistica, vengano malamente
e arbitrariamente ricavate
dalla realtà naturale, e rimangano vaghe,
o insufficientemente definite e
circoscritte, insomma in qualunque modo viziose,
tutto è a cadere. [13]
Ma se « tutto è a cadere »
sul piano della conoscenza, « tutto è ad
erigersi » sul piano creativo della
metafisica. In questo senso Bacone è il primo
pensatore che coglie a fondo il
problema dell’opposizione radicale ed inconciliabile
tra la conoscenza del
reale fisico e l’invenzione dell’immaginario
metafisico. Il Nostro lascia così
la deduzione sillogistica alle «arti popolari
e alle credenze» metafisiche,
ribadendo invece il valore dell’induzione
diretta come fondamento del
conoscere. Il ragionamento deduttivo è semplice,
rapido e «si presta moltissimo
alle dispute» [14] quello induttivo è «continuo e per gradi»
ma
è tale che «la natura stessa li riconosca»
in quanto «inerenti all’interno
delle cose stesse.» [15]
Inoltre, l’induzione “sul reale” non ha
niente a che fare con l’induzione intesa
secondo la logica volgare:
Occorre,
però, che la forma stessa dell’induzione,
e il giudizio che sorge da essa,
siano profondamente modificati. Infatti quella
forma di induzione di cui
parlano i dialettici e che procede per enumerazione
semplice, è qualcosa di
puerile, e conclude senza necessità, perché
resta esposta al pericolo di
un’instanza che contraddice, conosce solo
particolari abituali, e non raggiunge
mai una conclusione. [16]
Bacone ha perfettamente
compreso come la logica tradizionale si fondi
solo su formule, moduli e schemi,
del tutto preconcetti e avulsi dalla realtà,
sicché in essa ciò che passa per
“induzione” è un puro fantasma. I « particolari
abituali », ovvero schematici e
formali, sono gli inconsistenti e astratti
costituenti di un’induzione sul
metafisico che non ha niente a che fare con
l’induzione sul reale. Solo
l’operatività scientifica, osservativa e
sperimentale, permette un’induzione
vera e corretta. La metafisica può ben disputare
sull’astratto:
Per
la scienza è invece necessaria un’induzione,
che sia capace di vagliare e
analizzare l’esperienza, per mezzo di esclusioni
e reiezioni rigorose, e di
concludere infine secondo necessità. Se la
logica volgare dei dialettici ha
richiesto una lunga elaborazione ed ha fatto
esercitare tanti ingegni, ancora
più ci si dovrà affaticare per quest’altra,
che non deriva dai recessi della
mente, ma della viscere stesse della natura.
[17]
La dicotomia mente/natura è
qui posta con vigore ma va colta correttamente,
poiché è ovvio che solo la mente
può interpretare la natura in quanto strumento
primario per accedere ai suoi
segreti. L’opposizione è tra un uso “mentalistico”,
quindi autoreferenziale, e uno
“naturalistico”; quindi tra un’operatività
tutta mentale e astratta che agisce
su un piano “isolato” e alieno dalla natura
(meta-fisico), ed un’operatività
osservativa e sperimentale che agisce sul
piano (fisico) della natura stessa.
Piano che non è affatto quello dei sensi:
«poiché i sensi s’ingannano», e
«Perciò è un grande errore affermare che
il senso è la misura delle cose.» [18]
Viene posto così con forza teorica ciò che
Galileo pone negli stessi anni sul
piano della pratica: cioè l’utilizzo dello
“strumento” come mezzo primario di
osservazione della realtà e di misura dei
suoi denotati. Ciò che Bacone non ha
ben chiaro è che è strumento veritativo è
anche quello fornisce la misura, che
la misura è corollario indispensabile dell’osservazione,
che la misura è sempre
una “quantità”, e che questa si esprime solo
attraverso il dato matematico.
Il Nuovo Organo deve definire il
metodo d’approccio per un’autentica interpretazione
della natura, e il Nostro
pensa che la forma aforistica possa essere
efficace. In realtà solo i primi 58
punti del Primo Libro sono in questa forma,
i successivi presentandosi come
paragrafi numerati. Vediamone alcuni:
3.
La scienza e la potenza umana coincidono,
perché l’ignoranza della causa
preclude l’effetto, e alla natura si comanda
solo ubbidendole: quello che nella
teoria fa da causa nell’operazione pratica
è di regola. [19]
Essere in sintonia con la
natura significa “ubbidirle”, solo così essa
si lascia possedere. Ciò che è
individuato come “causa” sul piano teorico
(osservazionale) è la “regola” sul
piano operativo (sperimentale). Le «nuove
opere» della scienza non sono
possibili per mezzo della logica tradizionale
(11.), la deduttività
sillogistica è «incapace di penetrare nella
profondità della natura.» (13.)
poiché essa «costringe il nostro assenso,
non la realtà.». Gli strumenti della
logica tradizionale sono le proposizioni
(14.), fatte di parole-etichette che
strutturano solo « insegne di nozioni ».
Ma:
15.
Nelle nozioni non c’è nulla di rigoroso,
così in quelle logiche come in quelle
fisiche; sostanza, qualità, azione, passione e
neppure l’essere stesso sono veri concetti; tanto meno grave-leggero,
denso-tenue, umido-secco, generazione-corruzione, attrazione-repulsione,
elemento, materia-forma, e così via; son tutte nozioni
fantastiche e mal definite. [20]
La “nozione”, quindi, cioè
il preteso “saputo”, è la morte della conoscenza,
ed i “concetti” in senso
tradizionale (idealistico) puri fantasmi.
È veramente straordinario come un uomo
dell’inizio del Seicento abbia intuito come
la “nozione” basata sul discorso e
sulla nominazione non abbia nulla a che fare
con la complessità strutturale
della materia in un momento in cui
essa era ancora del tutto sconosciuta. Bacone
intuisce perfettamente che le
concettualizzazioni relative ad essa, espresse
con nomi dei suoi supposti “modi
d’essere”, ne mistificano profondamente l’essenza.
Il divenire profondo della
materia (quello noi oggi chiamiamo subnucleare
o elementare) non è concepibile
con “stati” nominabili ed etichettabili;
bensì come un flusso continuo e
complesso dove una cosa è nello stesso tempo
un’altra, o “già” un’altra, nel
momento in cui la si è osservata. «Arbitrio
e aberrazione» caratterizzano per
Bacone gli assiomi e i concetti astratti
derivanti dall’ «induzione volgare»
(17. e 18.) [21]
Vi è una via falsa e una via vera alla conoscenza
(19.); la prima (quella
dialettica): «dal senso e dai particolari
vola subito agli assiomi
generalissimi », la seconda (quella sperimentale): «risalendo per gradi e ininterrottamente
la
scala e della generalizzazione, fino a
pervenire agli assiomi generalissimi: questa
è la vera via, sebbene non sia
ancora stata percorsa dagli uomini.» [22]
La prima via, tutta “intellettuale”, è così
facile e comoda che da sempre è
stata preferita e ritenuta soddisfacente.
Però:
20.
L’intelletto abbandonato a se stesso infila
spontaneamente la prima via, e la
segue secondo le regole della dialettica.
La mente umana infatti tende a salire
subito a ciò che vi è di più generale e quivi
giunta fermarsi, perché si stanca
ben presto dell’esperienza. Questo difetto
è accentuato dalla dialettica con il
suo sfoggio di disputazioni. [23]
Pensiamo di interpretare il
pensiero baconiano nel tradurre così: il
lavoro sperimentale è faticoso e
noioso, il gioco dialettico facile, divertente
ed appagante. Però col primo si
produce conoscenza, col secondo si fabbricano
solo fantasmi metafisici. Quando
sorge qualche difficoltà non risolvibile
con artifici dialettici (26.) «si
cerca di salvare l’assioma con qualche distinzione
futile, laddove occorrerebbe
piuttosto correggerlo.» [24]
L’abbandono dei processi conoscitivi
erronei o falsi non è tuttavia sufficiente
per porsi su una corretta via alla
conoscenza, occorre anche “disintossicarsene”:
38.
Gli idoli e le nozioni false che hanno invaso
l’intelletto umano gettandovi radici
profonde non solo assediano la mente umana
sì da rendere difficile l’accesso
alla verità, ma (anche dato e concesso tale
accesso), essi continuerebbero a
nuocerci anche durante il processo di instaurazione
delle scienze, se gli
uomini, di ciò avvisati, non si mettessero
in condizione di combatterli, per
quanto è possibile. [25]
L’”assedio” della
pseudo-scienza alle facoltà intellettive
è tale che, se pure è possibile una
sortita liberatoria alla verità, il percorso
verso essa è reso difficoltoso dai
pesi di una tradizione inveterata. Non basta
perciò abbandonare gli idoli,
bisogna «combatterli», poiché essi sono sempre
tra noi. L’argomento è ben noto:
gli idoli secondo Bacone sono di quattro specie, quelli
“della tribù”
(41.) afferiscono la natura umana e tendono
a deformare la realtà; quelli
“della spelonca” (42.) dipendono dalla singolarità
dell’individuo e possono
portare all’incomprensione della realtà esterna;
quelli “del foro” (43.)
derivano dallo stare insieme degli uomini
e dal discorrere generico («per così
dire da un contratto e dai reciproci contatti
del genere umano» [26]),
dalle convenzioni del discorso, dalla chiacchiera,
dal “sentito dire”; quelli
“del teatro”, infine, sono i cosiddetti «sistemi
filosofici » costruiti con la
metafisica, escogitati come «favole preparate
per essere rappresentate sulla
scena, buone a costruire mondi di finzione
e di teatro.» [27]
La ragione per la quale gli idoli della
tribù si sono imposti dipendono da alcuni fattori.
Il primo (45.): la
nostra struttura psichica ci porta a vedere
nella realtà più ordine di quanto
ce ne sia, ciò conduce all’invenzione di
«parallelismi, corrispondenze e
relazioni che in realtà non esistono.» [28]
Un secondo (46.): «L’intelletto umano quando
trova qualche nozione che lo
soddisfa, o perché ritenuta vera, o perché
avvincente e piacevole, conduce
tutto il resto a convalidarla ed a coincidere
con essa. E, anche se la forza
delle instanze contrarie è maggiore […] non
ne tiene conto […] pur di
conservare indisturbata l’autorità delle
sue prime affermazioni.» [29] Per quanto l’intelletto umano sia mobile
e
cerchi spesso il nuovo, finisce spesso per
ricadere negli «universali ancor più
noti» [30],
cioè alle solite «cause finali» (48.):
Le
quali tengono assai più della natura dell’uomo
che di quella dell’universo, e
hanno corrotto la filosofia in mille modi.
Inoltre è proprio del filosofo
leggero ed inetto cercare la causa tra ciò
che è massimamente universale,
trascurando, invece, di ricercare le cause
nelle cose subordinate e subalterne.
[31]
Il cristiano Bacone non può
cogliere il senso della sua affermazione,
pena la negazione della causa finale
per eccellenza: Dio. Egli ha compreso molto
bene come il concetto di “causa
finale” sia meramente antropico («della natura
dell’uomo») e per nulla ontologico,
ma poi conserva il concetto di causa prima,
altrettanto inconsistente, nel
definire le uniche cause vere, reali ed esistenti,
come ad Lui «subordinate e
subalterne». D’altra parte, il fantasticare
su immaginarie cause finali è una
caratteristica della psiche umana difficilmente
eliminabile, poiché la
concettualizzazione causa–prima/causa–ultima appartiene alla
fenomenologia psichica quale esigenza omeostatica,
radicata e cogente. L’uomo
“crede ciò che sceglie” e tra l’inesistenza
di Dio e la sua esistenza è proprio
questa che egli “sceglie”, poiché lo rassicura,
lo tranquillizza, gli dà
speranza. Bacone vede che la “sapienza” tradizionale
è inconsistente perché
l’intelletto è debole ed influenzabile (49.).
Ne tenta una spiegazione :
Ciò
avviene perché l’uomo crede vero ciò che
preferisce, e respinge perciò le cose
difficili per l’impazienza del ricercare;
la realtà pura e semplice, perché
deprime le sue speranze; le supreme verità
della natura, per superstizione; la
luce dell’esperienza per superbia e vanagloria,
volendo evitare che la mente
sembri occuparsi di cose basse e mutevoli;
i paradossi, per stare all’opinione
del volgo; ed ancora in moltissimi modi,
e spesso impercettibili, il sentimento
penetra nell’intelletto e lo corrompe. [32]
Il discorso qui è
rigorosamente gnoseologico, e non ci si deve
quindi stupire se i sentimenti
vengono ritenuti in tale contesto “corruttori”
del conoscere, poiché è evidente
che, laddove i sentimenti condizionino la
ragione, diventa più difficile
conseguire il vero. E tuttavia, se i sentimenti
distraggono dalla conoscenza,
molto peggio fanno i sensi:
50.
.Ma il maggior ostacolo e la peggiore aberrazione
provengono all’intelletto dai
sensi, che sono ottusi e incapaci di risalire
al vero per la loro stessa natura
ingannevole, tale che quello che li colpisce
immediatamente ha sempre la
prevalenza su ciò che non li colpisce che
alla lontana, anche se quest’ultimo è
più importante del primo. [33]
Le ragione
dell’anti-sensismo di Bacone per un verso
hanno la loro ragione nell’aver
compreso che solo la strumentazione permette
l’indagine sulla realtà sotto la
soglia del visibile, ma trova anche ragione
in concezioni errate circa la
natura delle alterazioni, che egli considera
un tipo di movimento minimale e
invisibile.
Veniamo ora agli idoli della spelonca
cui vanno soggetti uomini di grande ingegno,
ma che (54.) credendo troppo in se
stessi lo utilizzano male e che «quando si
rivolgono alla filosofia e alle
speculazioni universali finiscono per deturparle»
[34] È questo il caso di Aristotele «che ha reso
la sua filosofia naturale schiava della logica
e quasi inutile, perché
influenzata dalle contese verbali.» Qui,
come altrove, Bacone sostiene che una speculazione
che non operi sulla realtà,
ma che utilizzi artifici puramente dialettici,
non è solo inconsistente, ma
conduce ad errori esiziali per la filosofia.
Il più disprezzato quale vittima
degli idola specus è Paracelso (definito altrove “imbroglione
e
spregevole”) insieme con tutta la banda dei
suoi seguaci, che «hanno costruito
una filosofia naturale affatto fantastica
»
[35].
In quanto agli idoli del foro (59.):
essi vengono definititi «i più molesti di
tutti, perché si sono
insinuati nell’intelletto per l’accordo delle
parole e dei nomi. Gli uomini
credono che la loro ragione domini le parole,
ma accade anche che le parole
ritorcano e riflettano la loro forza sull’intelletto,
e questo rende sofistiche
e inattive la filosofia e le scienze.» [36]
Con l’espressione «parole e nomi» Bacone
intende il discorso banale della
quotidianità, in cui egli intravede delle
cogenze concettuali e semantiche che
sfuggono al controllo della ragione, e suddivide
gli idola fori in due
specie:
60.
Gli idoli che penetrano nell’intelletto per
mezzo delle parole sono di due
specie: o sono nomi di cose inesistenti (come
sono cose che mancano di nome,
perché non sono ancora cadute sotto l’osservazione;
così vi sono nomi di cose
inesistenti, perché prodotte da fantastiche
supposizioni); o sono nomi di cose
che esistono, ma confusi ed indeterminati
e impropriamente astratti dalle cose.
[…][37]
Gli idola fori della
prima specie, cui appartengono la fortuna,
il primo mobile, le orbite planetarie, l’elemento fuoco, Bacone li ritiene facilmente
estirpabili. Quelli della seconda, invece,
frutti di una «cattiva e inetta
astrazione», quali sono le parole con più
significati che generano ambiguità, e
tra queste la parola umido in cui
Bacone vede otto significati differenti,
diventando tutt’uno col linguaggio
corrente sino a diventare difficilmente emendabili.
Peggio sono verbi (come generare, corrompere, alterare)
riferiti ad azioni mal definite, mentre i
peggiori in assoluto sono aggettivi
come pesante-leggero e tenue-denso.
Gli idoli del teatro (61.) sono
quelli « introdotti dalle favole delle teorie
e dalle cattive leggi delle
dimostrazioni.» [38];
si tratta di prodotti spurii della filosofia,
che possono «fondare e stabilire
svariati dogmi dottrinari.» [39]
Di essi si precisa:
E
le favole di questo teatro hanno la stessa
caratteristica della
rappresentazioni teatrali, create dai poeti,
perché le narrazioni finte per la
scena sono più garbate ed eleganti dei fatti
veri, tratti dalla storia, e più
prossime a ciò che ognuno desidera. [40]
Torna in queste ultime
parole l’importante concetto del “desiderio
psichico” di trovare in una certa
teoria ciò in cui già si crede. Garbo ed
eleganza di tali filosofeggianti «
rappresentazioni teatrali » sono fatte apposta
per appagare tale desiderio, e,
“funzionando” assai bene, costituiscono un
gravissimo pericolo per la
conoscenza. I creatori degli idola theatri vengono suddivisi in tre
categorie: la prima riguarda la rationale genus philosophantium, alla
lettera: la “classe razionale dei filosofanti”
(tradotta anche dei sofisti o
intellettualisti). La seconda quella dei
faciloni (o empiristi), con
riferimento agli alchimisti. La terza quella
dei teologi. Vediamole
sinteticamente: «Così i filosofi intellettualisti
traggono dall’esperienza dati
volgari e sconnessi […] Un altro tipo è costituito
da quei filosofi che hanno
lavorato con cura e assiduamente attorno
a pochi esperimenti […] Un terzo tipo
è quello di quei filosofi che mescolando
alla filosofia la teologia …» [41]
I fabbricanti degli idola theatri della prima specie producono teorie
false perché partono da elementi inconsistenti
o incoerenti, quelli della
seconda perché i dati di base sono parziali
e insufficienti, quelli della terza
perché inquinano la ricerca del vero con
l’assunzione di elementi estranei di
tipo religioso (non-cristiano). Tra i rappresentanti
del primo tipo emerge Aristotele,
«colui che con la sua dialettica ha corrotto
la filosofia naturale.»; tra
quelli del secondo gli Alchimisti ed anche
Gilbert (lo studioso del
magnetismo); appartenenti al terzo tipo sono
quelli che hanno prodotto i danni
maggiori: Pitagora e Platone.
Il pretendere di “dimostrare” su basi
erronee è disastroso per il conoscere: «Le
cattive dimostrazioni sono la difesa
e il presidio proprio degli idoli: quelle
che si traggono dall’arte dialettica
valgono solo a sottomettere il mondo al pensiero
umano, e questo alle parole.» [42]
Bacone allude a una realtà cosmica “modellata”
sulle idee dell’uomo e non
considerata in se stessa, con il pensiero
che “va a rimorchio” del discorso
quale sequenza organizzata di parole. Mentre,
all’opposto: «La miglior dimostrazione
è l’esperienza, purché ci si attenga strettamente
all’esperimento.» [43]
L’esperienza è propria dello studio della
natura, del naturalismo osservativo e
sperimentale, ciò che all’epoca era chiamato
filosofia naturale e che il Nostro ritiene oggetto di
trascuratezza e sottovalutazione:
80.
Questa gran madre delle scienze è degradata
indegnamente al posto di ancella e
se ne è fatto un aiuto alla medicina e alla
matematica, costringendola a dare
una prima ripulitura e infarinatura alle
menti impreparate dei giovanetti,
perché poi essi si applichino con maggior
facilità a qualche altra disciplina.
Nessuno si aspetti un gran progresso nelle
scienze, specialmente nella loro
parte operativa, finché la filosofia naturale
non sarà protratta alle scienze particolari
e queste similmente ricondotte ad essa. [44]
Il naturalismo, sulla base
della gerarchizzazione degli studi in base
all’oggetto posta da Aristotele (Metafisica,
VI (E), 1, 1026 a) vede gli studi sulla natura
al gradino più basso (perché si
occupa di cose corporee), a livello intermedio
la matematica (poiché si occupa
di enti astratti), al vertice la teologia,
perché si occupa di Dio. Da ciò
sarebbe derivato un utilizzo ancillare dell’osservazione
e dello
sperimentalismo, quali puri esercizi ausiliari
propedeutico-didattici a studi
più “nobili”, quelli concernenti gli enti
immateriali o divini. È su questa
base della teologia idealistica greca passata
pari pari in quella cristiana,
che il pio Bacone, colui che aveva affermato
che «poca filosofia naturale…inclina
all’ateismo, ma molta…riconduce alla religione.»
(Meditazioni sacre,
10.) [45]
si vede costretto ad ammettere sconsolatamente:
«Né si deve trascurare il fatto che in tutte
le età la filosofia
naturale ha trovato un avversario molesto
e difficile nella superstizione e
nello zelo religioso cieco e smodato.» [46]
Il Nostro tiene molto all’oggettività della
ricerca, ed a una certa sua “spersonalizzazione”,
sì che in più luoghi
ribadisce il fatto che il metodo che egli
propone non punta tanto sulla capacità
individuale, quanto sulla validità del “metodo”
di condurre l’operatore serio e
preparato a far sì che la natura “si riveli”
attraverso una sorta di attività
maieutica sulla natura, che fa emergere e
chiarirsi dal suo seno stesso i
segreti che la concernono. Al 122. egli scrive:
Il
nostro metodo di ricerca delle scienze mette
quasi alla pari tutti gli ingegni,
perché lascia poco spazio alla capacità individuale,
ma li lega con regole
solidissime e con dimostrazioni. Perciò,
questa nostra idea, come si detto
spesso, è più felice che ingegnosa, e noi
siamo soliti considerare la nostra
opera come prodotto più del tempo che dell’ingegno.
Il caso ricorre non meno
nel pensiero umano, che nelle opere e nei
fatti. [47]
Si noterà come Bacone
anticipi di almeno tre secoli la metodologia
della ricerca scientifica
contemporanea, basata per un verso sul rigore
delle “procedure” e per un altro
sull’”azzeccare” la prova rivelativa tra
molte sterili, ma tutte eseguite “in
batteria” con minime e mirate varianti. La
casualità per Bacone è un elemento
importante della scoperta scientifica, ma
assai raro; all’articolo 108. si
legge: «molte cose utili sono state
scoperte da uomini che non le cercavano affatto
e che le hanno incontrate quasi
per caso o occasionalmente, mentre attendevano
ad altro.» [48]
Il Secondo Libro dell’Organum mette
a fuoco il tema delle cause, osservando qui come sia accettabile la
differenziazione aristotelica in materiale, formale ed efficiente,
ma non certo in finale. Questa «è tanto lontana da portare giovamento
alle scienze che anzi le corrompe, essa può
valere soltanto per lo studio delle
azioni umane.» [49]
Osservazione corretta, ma che non tiene conto
che per Aristotele (che poneva la
teologia al vertice delle “scienze”) la causa
finale è irrinunciabile in quanto
è Dio-Verità-Bene, il superiore e paradigmatico
“limite della finalità”. Bacone
decide di superare le definizioni di
Aristotele utilizzando un termine, quello
di
forma, dal greco già utilizzato, ma con significato
totalmente
differente. Se per lo Stagirita si trattava
di forma-immagine
(μορφέ-εϊδος)
informante la
materia bruta (in un senso molto vicino all’”idea”
platonica) nel determinare
l’essere della “cosa” reale col passaggio
dalla mera potenza all’atto di
esistere, per il Nostro la forma è una legge
fisica che fa essere la cosa e la
governa. Leggiamo:
2.
Benché in natura non esistano, infatti, realmente
che i corpi individuali
producenti atti puri individuali, secondo
una legge; nelle scienze è questa
legge stessa e la ricerca, scoperta ed esplicazione
di essa, che fa da
fondamento del sapere e dell’operare. Col
nome di forma noi intendiamo questa
legge e i suoi articoli, specialmente perché
il nome di forma è invalso
generalmente e divenuto famigliare. [50]
Bacone ha deciso di
utilizzare il termine forma nel senso di “legge formativa” degli enti
materiali. In quanto alle aristoteliche cause
efficiente e materiale,
posto che le si voglia considerare, esse
si riducono a cause “instabili” (causae
fluxae) che solo «in alcuni casi portano la forma» [51]. Questa è la legge fondamentale dell’essere
a
cui lo scienziato deve fare riferimento:
3.
Ma chi conosce la forma, abbraccia l’unità
della natura anche nelle materie più
dissimili. Perciò può scoprire e produrre
ciò che ancora non si è verificato,
come quelle cose che né l’evoluzione naturale,
né le attività sperimentali e
neppure il caso stesso hanno mai fato venire
in atto, né sottoposto alla
riflessione umana. Perciò dalla scoperta
delle forme segue la verità nella
speculazione e la libertà nell’operare. [52]
Il concetto di forma
in Bacone rimane ambiguo e privo di una definizione
precisa. Il fatto stesso
che qui si passi dal singolare (in riferimento
all’unità della natura) al
plurale (come afferente i singoli fenomeni
o enti) ne è chiaro segno. Per un
verso egli pare ancora legato al vecchio
concetto di essenza, per un
altro egli pare riprendere una teoria corpuscolare
(in riferimento ai semi
anassagorei o agli atomi leucippei?) dove la forma potrebbe assumere
i
caratteri della struttura intima della materia
nei suoi componenti elementari.
In ogni caso Bacone esorta a stare lontani
dalla «dannosa e inveterata consuetudine
di volger la ricerca ad
astrazioni» e di «derivare le scienze da
quegli stessi fondamenti che sono
propri dell’attività pratica» [53]
Quest’insistere sulla “praticità” rivela
però anche l’incapacità di cogliere
l’elemento quantitativo-astratto della struttura
materiale, vedendone solo
l’aspetto qualitativo. Per Bacone il conoscere
la natura e l’operare su di essa
presuppongono gli stessi principi, per cui
indagare e trasformare sono connessi
e contigui, anche perché egli considera l’esperimento
stesso come un tipo di
“azione” mutativa o almeno perturbante.
Legato al concetto di forma è poi quello
di
regola (5.), che è propria dell’oggetto stesso
ma lo è, specularmente,
anche dell’approccio umano ad esso. La regola si fonda su due
considerazioni. 1. il corpo è la combinazione
di un insieme di elementi
semplici (schematismo latente), 2. il corpo, da un punto di vista dinamico,
nasconde una processualità evolutiva sottostante
(processo latente) [54]
che è così spiegata:
6.
Il processo latente del quale parliamo, è ben lontano dal poter
essere
facilmente concepito dalla mente umana, così
piena di preconcetti com’è ora.
Non intendiamo, infatti, parlare di misure
o segni o scale del processo
visibile nei corpi, ma di un processo continuativo,
che per la maggior parte
sfugge al senso. [55]
Diventerebbe sin troppo
facile voler intravedere nell’”invisibile
processo continuativo” la dinamicità
intima della materia elementare in senso
moderno, ma ciò sarebbe poco
credibile, anche perché, lo ribadiamo, Bacone
ha un concetto puramente
qualitativo della struttura della materia
(es: l’oro è giallo, pesante,
malleabile, duttile, fusibile, ecc.). Ciò
si evince anche dal fatto che egli,
nella trasformazione dei corpi, non si preoccupa
mai del “quanto” vada perduto
o acquistato, ma del “che cosa” («in ogni
generazione e trasformazione dei
corpi bisogna cercare ciò che si perde e
svanisce» [56]).
Una frase dell’aforisma 8. in questo Secondo
Libro dell’Organum che recita: «Ottimamente si
svolge la ricerca naturale quando la parte
fisica si conclude matematicamente.»
potrebbe farci pensare diversamente, ma sappiamo
da altri passi che egli allude
esclusivamente all’opportunità di una qualche
misura, e che la matematica (come
la logica) sono materie ancillari della fisica.
La ricerca della forma
passa attraverso la definizione delle instanze di essa per un dato corpo
o fatto; come esempio, relativamente
alla natura del calore, Bacone individua
27 instanze di esso che vanno a
formare una Tavola dell’essenza (o della presenza); accanto a
questa è posta una Tavola dei gradi (o comparazioni), i quali, in
numero di 39, completano le definizioni del
concetto di calore.
La chiave per l’interpretazione corretta
dell’essenza della natura è, comunque, l’induzione (10.), non quella
della logica tradizionale, ma quella scientifica
(«legittima e vera» [57]),
che è più oltre spiegata come segue: «16.
Così è necessario interamente
analizzare e decomporre la natura, non col
fuoco certamente [come fanno gli
alchimisti] ma con la mente, che è quasi
un fuoco divino. La prima opera
dell’induzione vera, quanto alla ricerca
delle forme, è la reiezione o esclusione
delle nature singole […] », dopo di che:
«rimarrà sul fondo, in secondo luogo,
come residuo da cui siano volate via come
un fumo le opinioni, la forma
affermativa, solida, vera e ben determinata.»
Il concetto di solidità è in
Bacone un poco contraddittorio, anche perché,
come è detto più oltre (23.), se
la forma «una volta osservata in uno, si
estende a tutti soggetti» quale
“instanza migrante”, va sottolineato che
una “migrazione qualitativa”
presuppone una certa incorporeità che il
Nostro vorrebbe negare. Per delineare
il metodo del procedere cognitivo Bacone
assume a titolo esemplificativo il
concetto di “caldo”, a cui si accede dapprima
attraverso una serie di
verifiche, poi approdando a una Tavola dei gradi (o comparativa)
cui seguono i Processi di reiezione o
di esclusione delle ipotesi incompatibili. Infine, per
gradi
successivi si giunge a una prima vendemmia della forma [58]
come ipotesi veritativa provvisoria, che
andrà sottoposta a una serie ulteriore
di verifiche basate sulle differenze. Il percorso verso l’induzione
vera passa attraverso le instanze prerogative [59],
seguite da altre forma complementari di
controllo al fine di comprendere che cosa
realmente possa accadere se l’ipotesi scientifica
è corretta. Se la
realtà si accorda con la teoria significa
che la forma si è resa
evidente e registrabile come veritativa attraverso
la scoperta e del suo schematismo
latente (come struttura) e del suo processo latente (come divenire).
La procedura conoscitiva è descritta in
maniera un po’ pedantesca e pleonastica,
ma anche abbastanza discutibili sono
le varie caratterizzazioni della dinamica
naturale in diciannove tipi
differenti di moto o “virtù operative” (quali: resistenza,
connessione,
indipendenza, continuità, acquisizione, attrazione,
assimilazione, configurazione,
ecc.) di cui si dice:
Poiché
dei moti enumerati alcuni sono del tutto
invincibili, altri sono più forti e
incatenano, frenano e dispongono quelli,
altri agiscono più da lontano; altri
in minor tempo e con maggior celerità; altri
servono infine a rafforzare,
accrescere, ampliare, accelerare i rimanenti.
[60]
Come si vede si tratta di
attività degli elementi della materia che
esemplificano (in maniera
immaginativa) come essi “si muovano” nei
corpi. E non nel vuoto (come pensavano
Leucippo e Democrito), bensì in un “pieno”
di materia che “si piega” su di sé (Est
enim plane plica materiae) e senza lasciare spazi vuoti. In chiusura
si
precisa:
Sia
ben chiaro a tutti che in questo Organo si
fa questione di logica [di metodo],
non di filosofia [di contenuto]. Ma essendo
questa nostra logica volta a
insegnare e a guidare l’intelletto, non ad
afferrare e stringere le astrazioni
della realtà con i tenui vitici, per così
dire, della mente (come fa la logica
volgare), ma ad inserirsi davvero nella natura
[sed natura revera persecet];
dirigendosi alla scoperta delle virtù e degli
atti dei corpi, con le loro leggi
determinate nella materia. [61]
Il Novum Organum è
opera metodologica estremamente valida nell’“indicare”
come debba procedere la
ricerca scientifica e l’operatività trasformativa
dell’uomo sulla materia,
uscendo dalle pastoie metafisiche teologizzanti,
non meno che delle fantasie
alchemiche e delle superstizioni. Quando
però Bacone tenta di entrare in
dettagli teorici relativi ai corpi o ai fatti
materiali (che sono gli oggetti
della sua indagine), ponendo criteri classificatori
dei componenti o delle
caratteristiche di essi, si coglie approssimazione,
insufficienza e persino
incoerenza.
Il Disegno di una storia naturale e
sperimentale, che possa servire di base e
di fondamento per la vera filosofia
è uno scritto pubblicato in appendice all’edizione
originale del Novum
organum nel 1620. All’inizio degli Aforismi per formare la storia prima
si legge:
Sotto
tre diversi stati può trovarsi la natura,
ed è, si può dire, sottoposta a tre
specie di governi. Se lasciata libera, la
natura segue il suo corso ordinario;
dal quale stato essa è allontanata, invece,
o
dalle difformità e dalle stranezze della
materia e dalla violenza degli
impedimenti, o perché costretta e guidata
dall’arte e dal ministerio degli
uomini. Nel primo stato rientrano le specie
naturali, nel secondo i mostri, nel
terzo le cose artificiali. Infatti, nelle
cose artificiali la natura si piega
al dominio dell’uomo e ne resta soggiogata,
giacché sono cose che non sarebbero
mai sorte senza l’uomo. [62]
Abbiamo qui la conferma che
il concetto di esperimento per Bacone assume
il doppio significato di “prova”
sperimentale sugli enti di natura e “manipolazione”
utilitaristica di essi da
parte dell’uomo. Esso riceve in Bacone la
sua legittimazione quale “corso umano
del reale” accanto al corso naturale (potremmo
dire “secondo legge” di natura)
ed al corso accidentale-traumatico (secondo
“casualità”). Egli è il primo
pensatore a tematizzare chiaramente il fatto
che l’uomo ha apportato artifici
profondi sul reale, un reale “alterato” che
si alterna e si accompagna alla
regolarità e all’irregolarità, sì da farne
tre fattori storici nell’evoluzione
della natura:
La
storia naturale è perciò distinta in tre
parti, che trattano della libertà,
degli errori e dei vincoli della natura,
di modo che la possiamo ben
distinguere in storia delle generazioni regolari, delle generazioni
irregolari e delle arti: quest’ultima noi la chiamiamo anche storia
meccanica
o sperimentale. [63]
Viene poi posta la domanda
se si tratti di tre vicende separate o connesse,
e si conclude che lo storico
della natura deve, da caso a caso, coglierle
insieme o considerarle
separatamente. In ogni caso l’importante
è considerare la storia dell’universo
in tutta la sua ampiezza, ed uscire da una
visione meschinamente umana della
sua realtà:
Bisogna
evitare, infatti, di restringere il mondo
alle dimensioni anguste
dell’intelletto, come fin’ora si è fatto;
occorre invece dilatare ed estendere
la portata dell’intelletto fino ad accoglier
l’intera immagine del mondo,
qual’è in realtà. [64]
Con questa considerazione, di importanza
capitale per la conoscenza, passiamo ad occuparci
dell’opera Della dignità e
del progresso delle scienze (De augmentis scientiarum), pubblicato
nel 1623, col quale Bacone elabora una classificazione
delle scienze e una
storicizzazione del pensiero umano che coprono
la prima parta del progetto
originario dell’Instauratio Magna. Quest’opera riveste per noi minor
interesse, ma ci soffermeremo su alcuni passaggi,
come quelli che compaiono nel
Libro Primo e ribadiscono criteri metodologici
già posti, ma qui meglio
definiti in relazione a quel falso sapere
metafisico promosso dalla Scolastica
che Bacone vede come un «tipo di sapere malsano
e autocorrompentesi» da parte
di sfaccendati («avevano a disposizione molto
tempo libero») legati ad
Aristotele («loro dittatore»). Essi hanno
prodotto «tele operosissime, che si
vedono ancora nei loro libri, valendosi assai
poco dell’ordito della materia,
moltissimo invece dell’agitazione dello spirito.»
[65]
È ribadito anche qui il danno per la conoscenza
di un mero intellettualismo
ripiegato sul pensiero e lontano dalla realtà.
Infatti l’indagine sul reale va
lasciata pilotare dalla realtà stessa e non
da elucubrazioni mentali astratte,
poiché:
Invero,
la mente umana, se agisce sulla materia e
si mette a considerare la natura e le
opere di Dio, è guidata dalla materia e nella
materia trova il suo limite; se
invece si volge entro di sé, quasi tessendo
una tela di ragno, allora resta
affatto indeterminata, e produce magari tele
ammirabili per la finezza dei fili
e dell’opera, ma di nessuna utilità, perché
frivole e vane. [66]
Le tele di ragno del
“mentalismo” metafisico non sono altro che
auto-trappole, che rendono
impossibile ogni conoscenza e portano ad
opere esteticamente «ammirabili», ma
inutili quanto oziose. All’origine dei numerosi
errori metodologici messi in
atto da una pseudo-filosofia scissa dalla
realtà vi è una sopravvalutazione della
mente umana:
Un
altro errore proviene dall’eccessiva reverenza
per l’intelletto umano,
reverenza che rasenta l’adorazione; e per
questo motivo gli uomini si sono
allontanati dalla contemplazione della natura
e dall’esperienza, riducendosi ad
aggirarsi tra le loro proprie
meditazioni e le finzioni della mente. [67]
Ma questa presunzione umana
si coniuga anche con l’«impazienza di dubitare
e la cieca fretta nel giudicare,
senza la debita e matura sospensione del
giudizio.» Le vie dello studioso sono
paragonabili a quello del viandante; quelle
inizialmente facili possono portare
al difficile, mentre spesso la via migliore
è aspra all’inizio in seguito
diviene agevole e porta più facilmente alla
meta. Perciò: «Non altrimenti
avviene nella speculazione, dove se si inizia
dal certo si finisce nel dubbio,
se invece si comincia col dubbio, pazientemente
sopportandolo per un certo
tempo, si sbocca poi nel certo.» [68]
Saltiamo ora al Libro Terzo del Della
dignità, dove si cerca di fondare una filosofia prima che sia base
di branche specifiche in funzione dell’oggetto.
Non ci stupiremo del fatto che
Bacone includa Dio tra gli oggetti del filosofare,
ricadendo in una “scienza
del Divino” identificabile con la metafisica
che intende combattere. All’epoca,
infatti, era del tutto impensabile la sua
esclusione dall’orizzonte delle
conoscenze. Si legge:
Bisogna
dunque dividere la filosofia in tre discipline:
scienza di Dio, della natura,
dell’uomo. Ma poiché le singole parti della
scienza non assomigliano a linee
che da diversa provenienza si congiungano
poi in un angolo, ma assomigliano
piuttosto ai rami i un albero che si dipartono
da uno stesso tronco, il quale
era liscio e continuo prima di dipartirsi
nei vari rami; perciò è necessario, prima di entrare nella prima
divisione, costituire una scienza universale
che sia la madre di tutte le
altre, e che si possa considerare, nel cammino
del sapere, come quella parte
della via che è comune, perché anteriore
a ogni separazione e divisione. Questa scienza
noi la possiamo chiamare filosofia
prima. A essa nessun’altra scienza s’oppone, differendo
essa dalle altre
più per i limiti entro i quali è contenuta,
che per il contenuto e i soggetti
che tratta. [69]
Nel Capitolo Secondo si vede
però come Bacone abbia serie difficoltà nel
definire una “scienza di Dio” che
ha dovuto essere inclusa “per convenienza”
in un contesto, quello gnoseologico,
che non può esserle che estraneo. Vediamo
come il Nostro cerca di districarsi:
«I limiti di questa scienza si definiscono
bene quando si considerano i suoi
scopi: confutazione dell’ateismo, conversione
degli increduli, e conoscenza
della legge naturale, ma essa non arriva
a tanto da poter edificare la
religione.» [70]
Sembra evidente che gli “scopi” di una Scienza
di Dio, per definizione sfuggente
a tutte le procedure poste nel Novum Organum, è immaginabile solo sulla
base di assiomi aprioristici e dogmatici
del tutto estranei a quella “dignità e
al progresso delle scienze” che dà titolo
all’opera. Non gliene faremo certo
carico, perché sir Francis è colui che con
acutezza e con forza ha spazzato di
tutte le cianfrusaglie metafisiche il terreno
della conoscenza, indicando nel
contempo come procedere e quali strumenti
utilizzare. C’è solo da rammaricarsi
che nel suo secolo ben pochi abbiamo colto
la portata del suo pensiero e che ci
siano voluti quasi cent’anni perché le sue
considerazioni e il suo metodo
incominciassero a ricevere la dovuta attenzione.
[1] F.Bacone, Discorso in elogio della conoscenza, in: Opere filosofiche, a cura di E.De Mas, vol.I, Bari, Laterza 1965, p.3
[2] Orazio Flacco, Odi, I, 11, 8.
[3] Bacone, Meditazioni sacre, in: Opere filosofiche, vol.I, cit., p.13.
[4] Bacone, La Grande Instaurazione, Prefazione, in: Opere filosofiche, vol.I, cit., p.219.
[5] Ivi, p.220.
[6] Ivi, p.221.
[7] Ivi, p.122.
[8] Ivi, p.224.
[9] Ibidem.
[10] Ivi, p.233.
[11] Ibidem.
[12] Ibidem.
[13] Ivi, pp.233-234.
[14] Ivi, p.234.
[15] Ibidem.
[16] Ibidem.
[17] Ivi, p.235.
[18] Ivi, p.236.
[19] Bacone, Nuovo Organo, in: Opere filosofiche, vol.I, cit., p.257.
[20] Ivi, p.259.
[21] Ivi, p.260.
[22] Ibidem.
[23] Ibidem
[24] Ivi, p.262.
[25] Ivi, p.264
[26] Ivi, p.266.
[27] Ibidem.
[28] Ivi, p.267.
[29] Ivi, p.268.
[30] Ivi, p.269.
[31] Ivi, p.270.
[32] Ibidem.
[33] Ibidem.
[34] Ivi, p.272.
[35] Ibidem.
[36] Ivi, p.274.
[37] Ibidem.
[38] Ivi, p.276.
[39] Ivi, p.277.
[40] Ibidem.
[41] Ibidem
[42] Ivi, pp.285-286.
[43] Ivi, p.286.
[45] F.Bacone, Meditazioni sacre, in: Opere filosofiche, vol.I, pp.20-21.
[46] F.Bacone, Nuovo Organo, in: Opere filosofiche, vol.I, p.307.
[47] Ivi, pp.333-334.
[48] Ivi, p.321.
[49] Ivi, p.344.
[50] Ibidem.
[51] Ivi, p.345
[52] Ibidem.
[53] Ibidem.
[54] Ivi, p.347.
[55] Ivi, p.349.
[56] Ibidem.
[57] Ivi, p.353.
[58] Ivi, p.387.
[59] Ivi, pp.393-394.
[60] Ivi, p.482.
[61] Ivi, p.500.
[62] F.Bacone, Disegno di storia naturale e sperimentale, in: Opere filosofiche, cit., vol.I, p.509
[63] Ibidem.
[64] Ivi, p.512.
[65] F.Bacone, Della dignità e del progresso delle scienze, in: Opere filosofiche, cit., vol.II, p.41.
[66] Ibidem.
[67] Ivi, p.49
[68] Ivi, p.50.
[69] Ivi, p.147.
[70] Ivi, p.153.