Francesco Bacone nasce a Londra nel 1561,
in una famiglia importante e molto vicina
alla corte, essendo il padre lord guardasigilli
della regina Elisabetta. Viene avviato come
ogni rampollo di famiglia di potere agli
studi giuridici in vista della carriera di
alto magistrato o politico o diplomatico.
Laureato a Cambridge, prosegue i suoi studi
trasferendosi a Parigi al seguito dell'ambasciatore
inglese, tornando poi
in patria con l'arricchimento di esperienze
in politica estera e diplomazia.
Con la sua grande intelligenza ha una carriera
folgorante sotto il regno di Giacomo I Stuart,
arrivando a diventare avvocato generale dello
stato nel 1607, procuratore generale nel
1613, lord guardasigilli nel 1617 e infine
lord cancelliere nel 1618, con cui viene
anche insignito del titolo di barone di Verulamio
e visconte di Sant'Albano. Però nel 1621
viene coinvolto in un processo di corruzione,
dovendo ammettere di aver accettato soldi
per pilotare un processo. Vienne condannato
e imprigionato nel carcere della Torre di
Londra con un'ammenda pesantissima e con
la radiazione da ogni carica pubblica.
Bacone si ritira a vita privata e vive una
nuova sistuazione che registra il disastro
dell'uomo in carriera e la sua fortuna di
futuro filosofo. La lontananza dalla vita
pubblica gli permette di concentarsi unicamente
sui problemi del conoscere e di formulare
un metodo del procedere scientifico basato
sull'esperimento e sull'empiria cognitiva.
Un modello estremamente interessante, ma
con un unico grave difetto, l'esclusione
della matematica dal procedere scientifico,
visto come descrizione puntuale e metodica
dei fenomeni osservati enon come astrazione.
L'affermarsi nel panorama scientifico di
Galileo Galilei, che come lui privilegia
l'osservazione e la sperimentazione, ma che
le coniuga con la formulazione matematica,
mette in evidenza la carenza metodologica
baconiana e ne determina il suo eclisse.
In altre parole, Galileo "misura"
i fenomeni fisici, mentre Bacone si pone
solo il
problema di osservarli, evidenziarli e possibilmente
manipolarli per cercare di coglierne la natura
dinamica.
Bacone è quindi essezialmente un empirista
metodico, in vista di una rivoluzione
scientifica di cui è sì fautore, ma che
non riesce a tradurre in una pratica utile.
Cercare un "metodo" del conoscere
non vuol dire riuscire a produrre "dati"
di conoscenza utilizzabili, il che fa Galileo.
Ma la differenza sta nel fatto che Galileo
è un uomo di scienza "empirico sul campo"
mentre Bacone è un filosofo empirista ma
"estraneo al campo". Tuttavia egli
pone alcuni proncipi essenziali come la ripetibilità
dell'osservazione per poterla ritenere affidabile
e per eventualmente poterla utilizzare, ma
non necessariamente a fini manipolativi della
natura, un'apertura d'orizzonte (spesso deprecata
in seguito) che apre modi di procedere che
diventeranno tipici della rivoluzione industriale
durante
il secolo successivo.
Bacone è un potente fustigatore della superstizione
e del pregiudizio, e ciò, pur essendo egli
credente e praticante, dà un colpo ferale
alla dottrina religiosa, che per sua funzione
esclude ogni turbativa delle verità espresse
nel suo esser tale.
Ma Bacone mette in evidenza proprio i falsi
ideologici perpetrati "tradizionalmente",
chiamandoli "idoli" e classificandoli
in quattro categorie: 1) della tribù (dell'intera
tribù umana come specie), 2) della caverna
(dei singoli uomini nelle loro illusioni,
nelle loro ansie e paure), 3) del foro (della
socialità e delle convenzioni), 4) del teatro
(come modelli di "rappresentazione"
falsata della realtà)
1) Gli idoli della tribù riguardano errori
concettuali generalizzati e propri della
natura umana, basati su sensazioni, pregiudizi,
abitudini, idee approssimative, ma soprattutto
trasmissione di generazione in generazione
di falsità cognitive.
2) Gli idoli della caverna non hanno carattere
di generalità filogenetica ma variano da
uomo a uomo, poiché ogni uomo ha un modo
di ragionare differente. Ottimismo o pessimismo,
empirismo o teorismo, costituzione mentale
o educazione, determinano in ogni individuo
pregiudizi derivanti da generalizzazioni
improprie e deduzioni erronee.
3) Gli idoli del foro sono molto legati al
linguaggio parlato e alla comunicazione interpersonale.
Le parole e le espressioni usate per descrivere
oggetti e situazioni
sono spesso frutto di equivoci e fraintendimenti
per un un uso spregiudicato del linguaggio,
anche da parte dei logici, che attraverso
meccanismi linguistici mistificano la realtà.
Infatti, una deduzione corretta, una verità
logica, non corrisponde quasi mai
alla verità fattuale.
4) Gli idoli del teatro paiono riguardare
esclusivamente i pregiudizi che spesso si
assumono perché li si è sentiti nelle rappresentazioni
teatrali, in realtà essi concernono in generale
il "sentito dire"
da fonti autorevoli o presunte tali.
In realtà a Bacone interessa stigmatizzare
la presunzione dei filosofi di mestiere
che perlopiù ritengono Aristotele un'autorità
scientifica a cui fare riferimento.
Egli anticipa quindi tutta la critica del
Settecento verso un "sapere aristotelico"
ammuffito, che verrà visto dalla nuova scienza,
sia in campo fisico che in
campo biologico, privo di fondamento. Bacone
chiama perciò ironicamente "del teatro"
le pontificazioni degli aristotelici
perché "fanno teatro" di un sapere
ormai inconsistente e inattuale.
Se la teoria degli idoli è la pars destruens
del pensiero baconiano, la pars construens
è costituita essenzialmente in quelle che
Bacone ritiene procedure corrette per raccogliere
dati, per classificarli, tabularli, quindi
per poterli interpretare con corretti criteri
scientifici di tipo induttivo.
Egli è infatti convinto che il metodo deduttivo
sia sostanzialmente meccanico e grossolano,
astraente dalla realtà, mentre solo quello
induttivo produce vera conoscenza.
Il metodo baconiano viene così raggruppato
in tavole, che messe a confronto con le
classificazioni aristoteliche ne rivelano
l'incosistenza astratta. Aristotele,
per esempio, aveva detto che esistevano quattro
tipi di causa: materiale, formale, efficiente
e finale. Bacone obietta che
la causa finale è priva di senso, poiché
non ha elementi di realtà. Quella materiale
e quella efficiente sono di scarso significato
e in molti casi pleonastiche. Per quanto
riguarda la causa formale, Bacone fa notare
che essa è sdoppiabile in una forma di
latenza schematica e in una processuale.
Bacone ritiene lo schematismo aristotelico
bloccato e ingessato in formule statiche,
poiché solo la processualità dinamica
ci può dire veramente ciò che
in realtà accade o non accade.
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